HOMO AEQUUS

Se vuoi vedere l’alba di un giorno migliore,non andare a letto
senza speranza!

                                                           Cattivi incontri
“Mira, lascia stare, finiamo noi mettere a posto, è ora che vai a casa. A quest’ora tua madre comincerà a preoccuparsi.”
È la seconda volta che Gustavo ripete alla ragazza smettere sistemare sedie e tavoli. Ci penserà lui e Antonio a finire il lavoro di pulizia e riassetto.
La piccola pizzeria “Gustavo” è posta ai confini di Quarto una cittadina in provincia di Napoli, per l’anagrafe è Mirian Cascella, per gli amici, chissà perché, la chiamano Mira, sedici anni da compiere, studentessa, frequenta il terzo anno di liceo al Virgilio di Pozzuoli.
Si mantiene agli studi lavorando le sere del venerdì, sabato, e domenica, alla pizzeria di Gustavo, una volta amico del padre. Ora non lo è, perché il padre di Mira, è stato ammazzato insieme al figlio Giuseppe dieci anni fa, gli infiniti regolamenti di conti fra le cosche camorriste, tra le diverse famiglie dell’hinterland napoletano. Lei Mira già da piccola decise di recidere i ponti con la famiglia del padre, subiva ogni forma di ricatto da parte dei cugini. La madre adora questa figlia ribelle. La capisce, anche se lei non ha avuto la forza e la determinazione di ribellarsi, prima dal marito e poi da suo cugino e i suoi figli.
E per questo comprende la figlia, e nello stesso tempo ha fatto di tutto portarla fuori da quell’ambiente, ed è stata la fortuna di Mira.
Nonostante l’agiatezza in casa, il padre, prima che fosse am-mazzato dai suoi pari, era riuscito cumulare diverse proprietà abusive e no. Lei, per principio, non vuole che la madre paghi con il ricavato della gestione dei fitti, le spese per il suo mantenimento a scuola, ripete sempre: basta un tetto sulla testa e qualcosa nella pancia. La camorra non ha nulla da spartire con l’istruzione.
Ha sempre detto: dovessi ereditare, darei tutto in beneficenza. La madre, inizialmente pensava fosse solo una bambinata, con gli anni ha dovuto ricredersi.
  
“Signor Gustavo è inutile che me lo ripeta, lei lo sa, finché c’è da lavorare io non vado a casa.”
“Benedetta ragazza, questa sera, fuori ad aspettarti, non c’è tua madre con la macchina, sono le due di notte e tu sai le persone che circolano a quest’ora, non tutte sono perbene, e non hai bisogno che te lo dica io. Te lo chiedo per favore, altrimenti mi costringi chiudere prima di finire le pulizie-”
“Sarà bene che mi avvio prima che lei cominci a piangere, non è bello assistere allo spettacolo di un settantenne che frigna come un ragazzino, ciao Antonio a domani.”
 Il saluto va all’indaffarato aiutante pizzaiolo di Gustavo. Mentre lui si lamenta dell’ironia della ragazza.
“Eh, va bè sfotti pure, come se non avessi ragione, già dovrò sopportare la sfuriata di tua madre, perché ti mando a casa così tardi, ora devo pure pregare perché arrivi incolumi da tua madre, e tu, hai la faccia tosta di sfottermi.”
“Non te la prendere zio, scherzavo, tu lo sa che ti voglio bene, vero zio? Ti chiedo scusa vabbè? Di nuovo buonanotte.”
Non è suo zio, ma è come se lo fosse. La vista nascere, lui era amico d’infanzia del padre, ma non ha fatto lo stesso percorso di vita. È da quando aveva dieci anni che lavora, portava le spese del salumaio su per i clienti, poi per il macellaio. Ha fatto di tutto prima da approdare come garzone di pizzeria.
Cominciò a portare le pizze a domicilio. L’odore, il profumo delle pizze appena sfornate con il tempo ha finito far parte del suo DNA. Non poteva che fare il pizzaiolo.
Ora guarda Mira montare sul motorino avviarsi verso casa. La sua più che paura, è premura, perché sa che nessuno si permetterebbe d’infastidire o fare un torto alla figlia, del fu Samuele Cascella, detto: Sam, spara - spara, per la velocità nel maneggiare la pistola, e con quella ammazzare i nemici del suo clan. Anche se lui ora non c’è più, ci sono i nipoti, i figli di Peppe o’pazz: brutte bestie quelle.
Nonostante lei non abbia nulla a che fare con loro. Purtroppo il suo nome è un marchio di fabbrica, del terrore però. Intanto la ragazza è scomparsa dalla visione di Gustavo e lui sprona l’aiutante a sbrigarsi.
“Andò, t’muovi a si’ono, ca' si fa juorno, mentre io faccio l’impasto di crescita per domani, tu finisci di pulire che dopo si va a letto, altrimént nun c'facim  nimmanc un’or e'suonno, me’capit Andò?”
Da Antonio, l’aiutante, arriva solo un mugolio di consenso come segno d’aver capito. Nel frattempo Mira con il suo motorino s’inerpica su per i Pisani strada che porta a Pianura. Periferia della cittadina coacervo di abitazioni abusive che hanno reso economicamente benestanti molte famiglie, camorristi e consenzienti.
Mentre il piccolo motorino di Mira continua per la salita, sente alle spalle sopraggiunge il rombo di una motocicletta di grossa cilindrata. Lei rallenta accostando per farla passare. La moto non appena arriva alla sua altezza si mette di traverso davanti al motorino costringendo Mira a fermarsi.
“Scendi, e dammi anche il telefonino insieme al motorino.”
A minacciarla è un brutto ceffo poco più grande di lei.
La ragazza freme dalla rabbia, non ha paura, anche se il losco figuro a un coltello in mano.
Pensa, invece, che dovrà fare altri sacrifici per ricomprarsi motorino e telefonino. Guarda il giovane non riconoscendolo uno della zona. Mentre sta per dargli il telefonino, i fari di un’auto illuminano la scena a giorno. Anche l’auto che arriva si ferma a due metri da loro, in modo da tenere bene illuminato la strada con gli attori in questione. Dall’auto scende un giovane alto e robusto, sui trentanni, nella mano ha una grossa mazza da baseball che può intimorire chiunque.
“Signorina c’è qualche problema, qualcosa non va?”

                                                       L’eroe della notte
Prima che Mira possa rispondere, non per chiedere aiuto, ma per non fare subire violenze a una persona per il solo fatto di essere gentile: è il rapinatore a rispondere al giovane.
“A te manca qualcosa? Perché non te ne vai per i fatti tuoi? Bello! Accetta il mio consiglio se vuoi tornare a casa sano e tutto intero, vattenn subito, hai capito?”
Il giovane sembra per niente intimorito dalle minacce del giovane delinquente, anche se questo ha tra le mani un lungo affilato coltello a serramanico.
“Tu non ci crederai, ma la questione ora è diventata un fatto anche mio, ti consiglio di rinfoderare il coltello, perché, come fai una mossa, ti apro la testa come un cocomero, questo vale alche per il tuo amico sulla motocicletta. Capisco però, che stai per perdere un affare, e questo sicuramente può dispiacerti. Qua ci sono cinquantamila lire, quelli che avresti ricavato vendendo il motorino, prendile e chi se visto se visto. Ti piace la proposta? Ci guadagniamo in salute tutti e quattro.”

I secondi che passano, sembrano eterni per tutti e quattro. Poi dal compare sulla motocicletta parte un ordine secco.
Giuvà muoviti, pigliati e cinquantamila di questo stronzo e andiamocene ca se fatto tardi.”
L’avviso del compare viene perché, nel frattempo, sulla scena sta per sopraggiungere un’altra auto dal lato opposto. Il gaglioffo ne approfitta per stappato dalle mani del giovane le cinquantamila, monta dietro l’amico che nel frattempo è già partito sgommando. Nello stesso tempo il giovane soccorritore pone a Mirian una sfilza di domante.
“Ti manca niente? Tutto a posto? Dove abiti?”
Nel chiedere, sposta la sua auto per fare passare l’altra, che nel frattempo era arrivata nei pressi. Senza scendere dall’auto il giovane abbassa il finestrino per dirgli.
“Vai avanti che io vengo dietro fino che non sei arrivata a casa tua.”
Mirian finalmente apre bocca. È accaduto tutto così in fretta, non avuto il tempo di metabolizzare l’accaduto.
“No grazie, non c’è bisogno mi accompagni, sono quasi arrivata, piuttosto se vuoi riavere le tua cinquantamila, che non ho con me ora, domani potrai venire alla pizzeria di Gustavo, quella che si trova giù Via Pietra Bianca, ti restituirò il maltolto da quei due farabutti.”
Lei a casa li ha i soldi, ma in questo caso dovrà dar conto alla madre quello che successo, ed è proprio quello che lei non deve sapere in nessun modo, pena: non la manderebbe più a lavorare da Gustavo.
“Ok, non preoccuparti per i soldi, quanto torno a passare da queste parti me li restituirai, ciao.”
Lei guarda partire l’auto rimanendo sovrappensiero sul posto. Non tutto è perduto se un giovane rischia la vita per difendere una sconosciuta, è quello che pensa Mirian, allora non sono la sola ribellarmi dai soprusi di questi delinquenti, meno male!
Mentre parte, i fari dell’auto visti prima in arrivo nell’altro senso di marcia, la illumina a giorno, arrivata alla sua altezza, l’auto si ferma, dal finestrino appena abbassato una voce allarmata di donna, si rivolge a lei, è sua madre.
“Mira! Che cosa è successo, perché sei ferma, che voleva quello da te?”
Indicando l’auto del giovane eroe che si allontanava nel buio della notte.
La poverina, vedendo la figlia tardare è accorso preoccupata, anche se febbricitante. Era questo il motivo per cui non era fuori la pizzeria ad aspettarla all’ora solita di chiusura.
 Nonostante la figlia avesse insistito perché lei rimanesse a casa, non reputava necessario che la madre le facesse da scorta ogni sera. Le mamme, spesso non sono coerenti, nel consigliare i figli, vogliono che questi diano ascolto alle loro premure, allo stesso tempo fingono di non capire, quelli che i figli dispensano a loro. Qualcuno le definisce: preoccupazioni materne, i giovani invece, apprensioni genitoriali. Invertito il presupposto, il concetto non cambia.
“Niente di che, Mamma! Mi ha chiesto un indirizzo. Ti avevo pregato di non alzarti dal letto.”
Così dicendo la ragazza mette in moto e dirige il motorino verso casa, senza aspettare che la madre borbotti le solite lamentele, per questa notte ne ha già sentite, e di troppo. 
La povera donna si preoccupa con giusta ragione, Mira è tutto quello rimasto della sua famiglia.
 Dieci anni prima, concorrenti del marito, tesero un’imbosca-ta ammazzando lui, e quell’anima innocente del figlio, il ragazzo aveva appena dieci anni. Sfortuna volle, il fattaccio avvenne di domenica, diversamente il figlio dovendo adempiere ai dovere scolastici, non si sarebbe trovato assieme al padre. A nulla valsero l’insistere della madre nel chiedere al ragazzo di restare a casa, lui caparbiamente volle seguire il padre. Lei conosceva i rischi che correva il figlio, sapendo cosa facesse, è qual era l’ambiente, e chi erano i contendenti del marito.
Quando vide l’auto dei carabinieri fuori il cancello della villa, e dall’auto scendere una donna in borghese assieme ai militi, capì subito di cosa si trattasse.
A pensar male, si disse, lei non pianse il marito prepotente, manesco, morto per mano dei suoi simili. Per il figlio invece, non bastarono lacrime.
Con la perdita del consorte, cosa che lei da anni sapeva che alla fine poteva accadere. La conclusione della vita di uomini, come il marito, o è l’ergastolano o la morte. Per chiudere del tutto con il passato, decise di porre fine con i rapporti con la famiglia di suo cugino, compare in affari di suo marito. Piano - piano troncò i contatti settimanali. La domenica immancabilmente la richiesta di pranzare insieme, era più di un invito, finché era vivo il marito, all’invito del cugino non era possibile rifiutare, tutti a casa del boss, perché lui per simili quisquilie non si spostava, lui sapeva quanto fosse pericoloso e rischioso farsi veder in giro.
Dopo la morte del marito, nonostante questi insistessero invitarla da loro la domenica, lei rifiutava trovando scuse possibili di ogni tipo, alla fine dopo molti tentativi andati a vuoto, loro si convinsero era inutile invitarle ancora. Lei, sospirando un “finalmente” chiuse la pratica dei parenti indesiderati!

Per Mirian fu una liberazione perché oltre a subire ostracismo, da parte del genitore, perché lei aveva usurpato il posto a un ipotetico altro figlio maschio, doveva tener testa alla prepotenza del fratello, lui aveva dalla sua l’appoggio paterno. Come si sa, nei clan camorristici vige la consuetudine, che a comandare siano solo gli uomini della famiglia. Lei cercava difendersi come poteva dalla prepotenza del fratello.
Era la madre a lottare non poco con i due maschi per salvaguardare l’incolumità della figlia.
Come se non bastassero i soprusi subiti in casa, la domenica si aggiungeva quello dei cugini.
Da bambina fino a sei anni i maschietti nel giocare gli mettevano le mani nelle mutandine, per cui la domenica quando si andava a pranzo dagli zii, cosa che succedevano periodicamente, anche perché loro, i grandi, dovevano parlare d’affari. La piccola Mirian, e così che la chiamavano i “cari”parenti, si rincantucciava tra le gambe della madre. Spesso i cugini la strattonavano per costringerla a giocare, lei si attaccava alle vesti della madre piangendo, è così che rimaneva fino a che, la donna, non cacciava i ragazzi. Così rimaneva fino a quando non lasciava la casa degli zii.
Con la perdita del genitore, e fratello, inizialmente provò disagio, nonostante tutte le prevaricazioni che subiva, non poteva non sentirne la mancanza. Aveva perso anche il supporto del fratello a scuola. Nessuno osava toccarla un po’ per la reazione del fratello, un po’ per il suo nome.
Nelle terre di mafia, camorra e ndrangheta, anche le pietre conoscono e temono le famiglie malavitose, se non paventi, evitarla è il minimo che puoi fare, tenerle alla larga oltre essere un salvaguardia alla tua sicurezza, è il male minore.  
La ragazza non poteva evitare i cugini a scuola, lì purtroppo, non era riuscita a liberarsi di loro.  
Per questo motivo, finito le elementari, la madre pensò bene mettere più distanza con la famiglia del cugino, trasferendosi in una villetta più piccola alla periferia nord di Pozzuoli nei pressi del lago D’Averno, dove il mare era a poche centinaia di metri, fu la salvezza per la ragazza.
Per fortuna loro, ad abitare nella villa accanto, arrivò una coppia di giovani professori dell'istituto Virgilio di Pozzuoli. Bastò poco fare amicizia, cosa che succede spesso quando si abita lontani dall’agglomerato cittadino.
 La professoressa Giusi Largo e il marito Carlo dovendo fare lo stesso percosso per andare al lavoro si fecero carico portare anche Mira con loro.
 L’alunna e la professoressa oggi sono amiche, lì divide poco più di dodici anni, comprensibile il loro affiatamento.
Con l’arrivo della bambina di Giusy, Mira ha trovato come trastullarsi con la sua “bambolina” è così che chiama la bambina di Giusi. L’amicizia con la coppia è stata fondamentale per Mirian. La libreria ben fornita di libri della professoressa, diete alla ragazza, l’imprimitura a leggere, comportarsi, atteggiarsi, come si dovrebbe per una signorina.
Conobbe il teatro, i musei, i pic-nic nelle gite in luoghi diversi. Un’estate la coppia volle che andasse con loro a Ischia per una vacanza di quindici giorni. La madre a malincuore accettò sapendo quanto bene, quelle vacanze, avrebbe fatto alla figlia.
Anche se dispiaceva staccarsi dal lei, prima di allora non era mai successo, le vacanze erano state solo chimere, né al mare né in montagna. Mira aveva quasi sedici anni, al ritorno la madre quasi non la riconobbe, oltre all’abbronzatura aveva gli occhi lucidi di felicità, era diventata donna a tutti gli effetti in quindici giorni, sprizzava gioia e felicità.
A scuola non era più ai margini, i ragazzi gli ronzavano intorno come api, perché Mira era un fiore! Si sentiva libera finalmente e i
l lavoro le dava libertà di scelta, fino a quella notte che incappò nel primo incidente di percorso.
I successivi inconvenienti, determinarono la decisione da parte della madre, vietarle di lavorare. Mira, con sommo dispiacere, dovette convenire con la risoluzione presa dalla madre.  Anche perché la donna per non prevaricarla, disse che la spesa del suo mantenimento agli studi lei glielo avrebbe restituito non appena avesse preso impiego dopo laureatosi, insomma era un prestito. Questo succedeva nell’anno domini 2000. 

                                                                L’eroe nero
 Mercoledì 30 aprile 2013 ore 11. Lungo il corridoio, secondo piano del Tribunale di Napoli un piccolo plotone di persone, composto: da un colonnello dei carabinieri, dietro, due graduati in mezzo un giovane detenuto ammanettato, chiude la fila, alle spalle del drappello, un giovane brigadiere, sono in marcia verso l’aula dell’udienza. Mentre il piccolo plotone si dirige alla 7ma sez. Penale. Presieduta dal giudice Massimo Pelosa, una giovane donna s’incrocia con la piccola squadra, si ferma, ha notato qualcosa, ritorna sui suoi passi e si accoda anche lei al gruppo, che nel frattempo si è fermato. Il colonnello bussa, prima di aprire la porta, ed entrare nella 7ma.
Nel frattempo la giovane donna incrocia lo sguardo del detenuto giratosi a curiosare, ha un soprassalto mentre il viso s’imporpora di rossore d’emozione, non si era sbagliato quel viso gli ricorda qualcuno.
Il manipolo di militi e il detenuto, prendono posto loro assegnati nell’aula, mentre la giovane li segue con lo sguardo. Riavutasi dalla sorpresa, si mette sulla loro scia, entrando pure lei nell’aula. La sua attenzione e tutta per il detenuto, un giovane uomo sui quarant’anni, che guarda tutt’intorno con fare di supponenza. Mentre era intenta a guardare il prigioniero, non si è accorta del collega che occupa il posto sullo scranno della difesa. La giovane si precipita al suo fianco disinteressandosi momentaneamente del detenuto. Si avvia un piccolo concitato confabulare tra i due, interrotto dall’avviso del cancelliere dell’entrata in aula del giudice. Dopo che tutti i convenuti s’insediano nei posti di competenza, la voce del cancelliere che legge i nomi degli attori per accertarsi siano tutti presenti, una volta avuta conferma chiude la cartella.
Non resta che aspettare l’iter burocratico dopo l’entrata in aula del giudice con il seguito della corte. Nella gabbia dei detenuti il giovane uomo che risponde al nome di Jean-Jesus Jarden, guarda con indifferenza e con fare annoiato l’estensore dell’atto d’accusa contro di lui, ascolta come se il PM stesse leggendo qualcosa che non gli riguarda. Non si è accorto, d’avere su di sé, lo sguardo un po’ attonito della giovane donna, seduta a fianco del difensore d’ufficio. La quale donna non è altro che l’avvocata Mirian Cascella. Mira, ha riconosciuto il detenuto nel suo misterioso salvatore di quella notte di tredici anni fa.
Rivederlo ora dopo tanti anni nelle vesti di detenuto accusato tentato omicidio di un servitore dello Stato, gli fa un certo effetto. Ha tutti i motivi a essere meravigliata.
Quasi rifiuta crederci, almeno gli riesce difficile pensare che il paladino contro l’ingiusto, come dimostrò quella notte, potesse essere, o diventare, un vile delinquente.
Mira attraversava il corridoio del tribunale dirigendosi in direzione della cancelleria per mettere a ruolo un’opposizione, quando ha incontrato la pattuglia dei carabinieri di scorta al detenuto, mentre andavano verso l’aula, dove si sarebbe tenuta l’udienza.
Il primo impatto è stato di dubbio, forse mi sbaglio, si era detta, riavutosi, è tornata indietro per accertarsi se quello che pensava non fosse solo un dubbio.
Dopo aver chiesto al collega il permesso di sedergli accanto, guarda la scena riflettendo, non ha ancora metabolizzato la meraviglia. Sì, la giovane che serviva panini e focacce ai tavoli della pizzeria di Gustavo, ora è un avvocato di diritto penale facendo parte dell’associazione anticamorra “Per una nuova stagione”, che non è una pizza.
Si batte come ha sempre fatto per la difesa dei più deboli, cittadini vessati dalla camorra, e come spesso accade, anche dallo Stato Italiano.
Per ironia, e senza volerlo, era stato proprio lui a dargli l’ultimo stimolo quella notte, quello giusto che già albeggiava in lei, cioè battersi per la legalità.
Non capiva come un eroe, così finora lei pensava fosse, potesse diventare un qualsiasi delinquente.
Non riusciva a capacitarsi, forse sarà un errore, forse sarà un’omonimia, uno scambio di persona, un vizio di forma.
Voleva per forza trovare una causa, una svista. Intanto chiede al collega che gentilmente gli ha concesso il posto.
“Mario, permetti che dia uno sguardo alla motivazione del capo d’accusa, perdona la mia curiosità, io quel signore forse lo conosco. Se non ero anni fa, mi ha aiutato in una situazione di pericolo, vederlo con le manette ai polsi, non può che farmi dispiacere. Mi addolora sinceramente, se quello che pensavo, di lui, non fosse vero. Forse perché mai avrei immaginato d’incontrarlo, dopo tanti anni, in una simile circostanza.
 Mario in povere parole, in ricordo di quello che lui fece per me, ho il dovere morale fare io qualcosa per lui ora.”
“Mira, non ho nessuna difficoltà farti leggere l’atto ma non credo ci sia molto da capire. Però trovo strano quello che mi dici, il detenuto è un cittadino francese con doppio passaporto. Sotto quale veste lo hai conosciuto? Per quando il caso, per dirtela tutta il giudice Peloso un’ora fa, finito la mia causa, mi ha pregato di rimanere per fare l’avvocato d’ufficio a un detenuto appena arrestato. Nell’attesa che lui, e i carabinieri, arrivassero, io e il giudice abbiamo avuto giusto il tempo di prendere un caffè, beninteso io al Bar lui nel suo ufficio, prima di rientrare in aula.
Ho dato uno sguardo al verbale di fermo, stilato, a mio parere, poco corretto oltre a essere illeggibile, chi l’ha scritto aveva fretta. Perciò, credo rimarrà in cella poche ore, ma questo avverrà quando sarà. Per ora mi rimane chiedere un rinvio. Ho ancora da leggere l’atto e conferire con il mio assistito”
Hanno appena finito di parlare che il giudice picchia sulla cattedra per avere l’attenzione dei presenti. Immediatamente finisce il brusio nell’aula.
Il giudice come primo atto sfoglia quello del detenuto, che poi non è altro quello messo su dal PM all’ultimo minuto sugli atti già esistenti. Il giudice dopo aver letto le generalità all’imputato, chiede se sono le sue, avuto l’assenso, demanda al cancelliere di leggergli i capi d’accusa al qui presente Jean Jesus Jarden.  
Questi, con voce monotona e sequenziale, gli elenca i reati commessi e di cui è accusato: porto armi da fuoco abusivo, tentato omicidio. Il giudice prende la parola per chiedere al detenuto, come si pone nel confronto di quest’accusa, colpevole o innocente.
 Il detenuto sembra non aver udito, continua a guardare l’aula, per un attimo Mirian incrocia il suo sguardo per la seconda volta, ha la sensazione come si fosse soffermato a guardare lei, forse lo immagina solamente.
Con stupore dei presenti il detenuto, dopo essersi alzato in piedi, dichiara che lui si avvale della facoltà di non rispondere. Il giudice guarda il difensore come volergli dire: che facciamo avvocato! Lui, l’avvocato, si avvicina allo scranno del giudice per interloquire.  
“Giudice, con il suo permesso, vorrei avere colloquiare con il mio assistito, finora non ho avuto modo né tempo per istruire e conoscere sia la pratica sia il mio cliente, “lei mi capisce.”
 “Certo che la capisco avvocato, bastano tre minuti? Dovreb- bero essere sufficienti, non le pare avvocato?”
Trascorsi cinque minuti, l’avvocato torna leggermente inner-vosito, sbatte la pratica sul tavolo mormorando udibile solo da Mirian che ha davanti.
“Tu vedi questa mattina che bel regalo che mi ha fatto il giudice Peloso.”
 Poi rivolto al giudice.
“Signor Giudice il mio cliente si avvale della facoltà di non rispondere per cui chiedo un rinvio per avere altro tempo per studiare gli atti e per interloquire con il mio cliente in un clima più sereno.”
“Bene, l’udienza è rinviata….. vediamo un po’….ah ecco, al venti maggio 2013. Per oggi non c’è altro, l’udienza è tolta.”
“Mario che succede, mi sbaglio o quest’aula è stata aperta per permettere al giudice Peloso di sentenziare quest’unica causa. Non mi sembra normale il decorso.”
“No, non ti sbagli, come già accennato, il giudice Peloso mi ha pregato formalmente, assistere il detenuto. Ora questo stronzo mi comunica che lui non ha bisogno dell’avvocato e che non ha nulla da dire, anche se gli ho rilevato che avrei potuto farlo uscire da questa grana in poco tempo.”
I dubbi di Mirian aumentano nel sentire il collega.
“Questo, a quando sembra, doveva essere un processo per direttissima, e il giudice ha dato il rinvio senza pensarci due volte. Non ti sembra un po’ strano tutto questo? Ti dispiace se faccio da assistente mentre conferisci con Pelosi?”
“Mira, se t’interessa tanto il caso lo cedo volentieri, andiamo dal giudice e glielo comunichiamo, non credo che lui abbia nulla in contrario, forse gli sei anche più simpatico, anzi asserisco, sicuramente apprezzerà avere davanti una bella ragazza che uno scarrafone come il sottoscritto. Oltretutto mi fai un favore, quello già mi ha rifiutato come suo avvocato, non credo che tu avrai sorte migliore, comunque è tutto tuo, sempreché il giudice accetti il cambio, in bocca al lupo Mira.”
“Grazie Mario, a buon rendere.”
Mentre il giudice, da uno sguardo di lettura all’atto in questione, Mira fa lo stesso con la copia che il cancelliere aveva messo a disposizione della difesa. Per quello che trova scritto, non può che dar ragione al collega. Ci sono tutti i presupposti per l’annullamento della procedura in atto.
Come immaginava il bravo collega di Mira, il giudice non ha nulla in contrario di accettare come difensore d’ufficio la volenterosa Mirian Cascella paladina degli oppressi.
Ha tenuto a precisare con Mira, che il detenuto non ha nulla a che fare con gli oppressi, essendo lui la causa di questi.
Questo è quello che pensa il giudice Peloso dello Jarden accusato d’importare armi e droga, è stato colto in flagrante durante un’operazione delle forze dell’ordine. Nella colluttazione ha tentato di uccidere il colonnello dei carabinieri.

Ancora ora che sta per avere un colloquio con il detenuto non sa perché ha voluto per forza il caso, il suo atteggiamento nulla a che fare con la riconoscenza verso lui, gli interessa poco difendere uno spacciatore e tantomeno un importatore di armi e droga. A naso intuiva che qualcosa che non quadrava nell’arresto dello Jarden. Aveva chiesto il colloquio dopo essersi accertato che il detenuto non aveva dato mandato a un avvocato di fiducia. Seduta, nella spoglia sala adibita a parlatorio del carcere di Poggioreale, aspetta che arrivi il detenuto. Il quale come la vede dimostra tutta la sua meraviglia. Per finire non crede in nessun modo che lui sia francese.
“Tu chi sei? Non aspettavo visite del gentil sesso, vedendoti in tribunale ho pensato: ecco la solita donna curiosa.”
È il primo contatto verbale, ed è la seconda volta che sente quel tono di voce, ed è sicura, che l'accento non è quello della fatidica notte della rapina. Quella fatidica notte il suo accento era italiano al cento per cento.
Senza pensarci troppo, tira dalla borsetta cinquanta euro li poggia sul tavolo tra lei è il suo assistito, almeno per ora.
“Sono, per ora, il suo avvocato d’ufficio, e anche una sua debitrice di cinquantamila lire che con il cambio fanno suppergiù cinquanta euro, che lei gentilmente pagò a dei rapinatori per mio conto tredici anni fa, e non mi dica che non è lei perché la ricordo benissimo, non capita tutti i giorni che un bell’uomo ti aiuta in una situazione incresciosa, rischiando di suo e rimettendoci pure!”
Jean Jesus fissa la banconota, questa volta è lui a essere sor- preso, il viso si allarga a un sorriso di compiacimento. Come poteva restare indifferente davanti a quella verità.
Ora i due si guardano apertamente negli occhi come volessero trovare un’intesa, anche a Mira spunta un leggero sorriso. Perché pensa, forse se lo augura, di non essersi sbagliata sul suo conto, è quello che spera.
“È proprio vero che non bisogna mai stupirsi della realtà, perché spesso va oltre ogni fantasia. Cosicché la piccola pizzaiola è diventata un avvocato. Mi fa molto piacere per te, devi scusarmi se non venni a riscuotere il prestito alla pizzeria, non mi fu possibile per impegni più imbellenti. Non mi dirai che per questo hai assunto la mia difesa, per restituire il debito?”
“Non solo, diciamo che c’è anche dell’interesse professionale. Vorrei che in prima persona, mi delucidassi ciò che accaduto perché dall’atto e come sei stato arrestato, non è molto convincente. Tutta la storia fa acqua da tutte le parti, perfino la modalità dell’arresto e il rinvio dell’udienza, e per finire, perché sei sotto mentite spoglie ”.
“ Questo, credo, è tutto scritto nell’atto d’accusa e nel verbale dei carabinieri. Nulla aggiungo e nulla tolgo. Ti consiglio di non perdere altro prezioso del tuo tempo dietro questa causa, non ho bisogno di nessun avvocato, senza essere scortese s’indente. Per quando riguarda i cinquanta euro, qui dentro non saprei che farmene, vuol dire che estinguerai il tuo debito un altro giorno e in un’altra occasione, se ci sarà.”
“Non credere di trattare con la ragazzina della pizzeria, non so chi sei, né cosa sei. Il mio fiuto mi dice che tu non sei quello che vuoi apparire. Ho letto l’atto d’imputazione e pieno di lagune giuridiche, posso farti uscire a breve senza perdere altro tempo, per cui essendo il tuo avvocato, volendo o dolente, ho mi spiattelli la verità o agisco d’ufficio: cosa preferisci.”
Jean-Jesus ha sempre gli occhi fissi in quelli di Mira, se spera che sia lei ad abbassarli si sbaglia di grosso, non conosce il carattere della ormai donna e avvocato. Ha ragione lei a dirgli che non è più la ragazzina della pizzeria.
“È dire che non so nemmeno come ti chiami, buffo no?”
“Mi chiamo Mirian Cascella, scusa se non mi sono presentata, se avremo rapporti di lavoro, puoi chiamarmi Mira, se no, amici come prima.”
“Se me lo congedi, vuol dire che siamo diventati amici.”
“Io direi vecchi amici, se vogliamo tener conto degli anni che sono trascorsi.”
“Mira, perché non ti siedi e parliamo un po’.”
Sola ora che lui lo fa rilevare si è accorta che mentre lui si era seduto comodamente lei era ancora in piedi.
“Allora, cosa hai da dirmi, in tua difesa.”
“Bada che ho invitato l’amica a sedersi, non l’avvocato. Voglio spiegarti perché presi la tua difesa quella notte, è perché ci rimisi le cinquantamila lire invece di prendere a bastonate i due piccoli delinquenti. Conosco quei tipi, eri una ragazzina indifesa avrebbero potuto anche abusare di te, dopo averti derubato, non ho infierito su di loro per paura di coinvolgerti nella rissa, potevano essere armati, non solo di coltelli.
Non sono un paladino della brava gente come tu credi, ho reagito per istinto da giovane spavaldo e incosciente, diciamo per farmi bello ai tuoi occhi.”
Mira continua a guardarlo sempre più convinta, che lui non sta asserendogli la verità, non capisce perché lo fa, ma è sicuro che Jean-Jesus gli sta mentendo. È una sensazione non solo di pelle, oltre a leggergli negli occhi quello sguardo nulla a che fare quello che lui vuole intendere. Oppure è tanto bravo da nascondersi dietro? Lei conosce quei gaglioffi bastardi, avendo vissuto in quell’ambiente, sa come guardano il loro interlocutore. È tutto una valutazione, cliente, nemico, spia, è questo, quello che passa nella mente di un delinquente.
“Senti amico, non lo so perché lo fai, devi avere i tuoi buoni motivi, non sei uno stupido, e non sei nemmeno quello che vorresti farmi intendere, né io sono stupida come tu intendi,  teniamoci le nostre convinzioni, se hai bisogno dei miei servizi, come avvocato, qui c’è il mio numero di telefono, non abbiamo null’altro da dirci, ti saluto.”
“Mi dispiace per il tuo rammarico, vorrei che ci lasciassimo da buoni amici.”
“I miei amici, non hanno nulla a che fare con loschi affari. Convincimi diversamente, altrimenti, a questo punto, ripeto, non abbiamo null’altro da dirci. Se dovessi cambiare idea, qua c’è il mio biglietto da visita.”
Aggiunge al biglietto da visita sui cinquanta euro, che ancora sono sul tavolo, si alza e ancheggiando si avvia a uscire, facendo segno alla guardia di aver posto fine all’incontro con il suo cliente.
Il detenuto la guarda andar via, il suo viso ha perso quell’aria un po’ canzonatoria, ora riflette un sorriso amaro.
Questa è una delle tante volte per cui si chiede se la sua vita ha un senso, al di fuori di quello che fa.
Vedendo quella bella donna andare, si sente come se lei portasse via con sé, un pezzo della sua vita.
Del resto non può rammaricarsi molto se è quella la vita che ha scelto di fare. Ma poi? L’ha davvero scelto lui questa vita?
Alla fine con un’alzata di spalle, come volesse dire: Jesus perché ti poni, ora, tutte queste domande? Alzandosi dalla sedia fa segno al secondino di essere pronto al ritorno in cella. Lì nel buio della solitudine, ha tutto il tempo per dare risposte alle sue interrogazioni, ai suoi dubbi. 

Le parole più sacre per il genere umano, sono usurpate, dissacrate, per fini poco lodevoli! Una di queste è la famiglia.
                                                               " La famiglia"
Giuseppe Polveri, detto Pepp’o pazz, non perché è pazzo, agisce seguendo il suo istinto animalesco senza troppo riflettere, fanno le spese tutti quelli che scorrono nel suo alveo, comprese maglie e figli, sette per la precisione, cinque maschi e due femmine, le quali, del gentil sesso hanno solo l’aspetto.
Il padre padrone, come tutte le domeniche, è attorniato da tutta la “sacrafamiglia. Il rito si perpetua intorno alla tavola il cui principe, è il menù: ragù di tracchie di maiale, e braciole di cotiche dello stesso, pasta ziti, per secondo, salsiccia e friarielli, il tutto annaffiato con abbondante vino rosso, il famoso per’e palumbo, prodotto nelle loro terre, sui costoni dei Camaldoli, dove all'apice del monte il vecchio eremo dei monaci Camaldolesi fa da faro alla comunità cristiana.   
Come tutte le domeniche, si tirano le somme degli affari di tutta una settimana, una specie di rendiconto: chi ha dato, chi deve rendere, chi è in ritardo nel dare, chi deve avere una lezione perché non ha dato, chi ha sbagliato, e chi merita. Come un capitano d’industria ascolta, mugolando con il boccone di salsiccia in bocca con l’olio che gli sbrodola sul mento. Dopo un bicchiere di vino, si concede dare la risposta al figlio che gli stava comunicando le ultime notizie, per ultima quella dell’arresto del francese Jean-Jesus Jarden.
“Cioè, mi vuoi dire che noi non ci rimettiamo niente?”
Il figlio Michele, il primogenito, chi ha l’autorizzazione a parlare per primo, ha appena detto d’avere ricevuto la soffiata dal loro referente dalle carceri di Poggioreale, il quale a mandato a dire, che della perdita se ne fa carico la ditta.
“Precisamente, papà.”
“E chi è, stu’fess!”
“L’amico francese e Tatonno o’Papaccio.”
“Miché, ma tu sei sicuro che questo, è pulito?”
Per tutta risposta il figlio Michele fa partire lo scodinzolio della testa come consenso.
Il sospetto nei delinquenti è salutare, è come guardarsi alle spalle, il timore che qualcuno ti possa uccidere o arrestare è sempre presente, guai a dimenticarselo.
"Papà, ho parlato personalmente per telefono con zi’Taton- no, mi ha detto che l’elemento è sicuro, lui ha già fatto più di un affare, andato in porto senza problemi, con Jean-Jesus il marsigliese. Dobbiamo tirarlo fuori ora da Poggi-Poggi (cioè Poggioreale), se vogliamo rifare di nuovo il carico, tanto noi con quello sequestrato andiamo pari - pari come prima.”
“Allora pensaci tu a chiamare il nostro avvocato e digli di muovere il culo, se vuole guadagnarsi la pagnotta.”
“Papà, c’è un altro problema.”
“Qual è quest’altra rottura di coglioni!”
“Mira, è la rottura di coglioni! Papà, tua nipote, ha fatto mettere dentro un nostro bravo ragazzo.”
“E che vuoi da me, è fesso lui, a farsi prendere con le mani nel sacco, quella fa il suo mestiere, gli stronzi siete voi che vi fate beccare con il lardo addosso. Ti ho detto un sacco di volta, a piccerella non si tocca fino a quando camp’io, ci siamo capiti! Quant cazz’ e vote ta già ripeter”
A lui certamente non fa piacere che la nipote assottiglia il suo clan, ma è l’unica figlia della cugina, e del suo compare morto   ammazzato insieme al figlio di dieci anni, quell’anima di Dio, per onorare e difendere la famiglia. Tanto, uno più, uno meno, gli affari vanno avanti lo stesso. I ragazzi in galera si fanno le ossa, per sostituirli non c’è nessun problema.
Con la disoccupazione in continuo aumento hai voglia di trovare giovani disposti a guadagni facili.
Questa è la filosofia di Giuseppe Polveri detto Peppe o’pazz, signore della camorra. La perdita momentanea di un elemento non costa niente a lui. Nessuno toccherà la nipote fino a quando lei non toccherà la famiglia o gli interessi di questa, il resto è tutto accomodabile senza spesa.
Toccare la famiglia significa indebolirla nei confronti degli avversari. Ledere il patrimonio è come togliere forza contrattuale al clan, con i soldi si può tutto, comprare giudici, politici, avvocati. La potenza di fuoco, è la consistenza del potere del clan, killer professionistici e non, sono a loro servizio per far rispettare le regole da loro imposte. Inoltre, e non è poca cosa, mantenere tutta la manovalanza per le piccole facezie. Riscossioni del pizzo, furti, soldi con interessi da usuraio, piazzare la merce rubata, riciclare i soldi, pagare le famiglie con il marito finito in carcere ecc, ecc… solo avendo molta disponibilità si può tenere in piedi la baracca.  
Sono tutte cose che un capo della camorra organizzata, come un imprenditore, non può esimersi siano rispettate.
  
                                                                 L’avvocato
 Seduta dietro la sua scrivania Mira si rigira fra le mani dei fogli, uno è la scheda richiesta al casellario giudiziale, l’altro copia del verbale dei carabinieri in cui non si legge niente di specifico tranne le generalità del personaggio. L’ultimo è la notifica del tribunale nel quale comunica a occuparsi del caso Jean-Jesus Jarden è l’avvocato Antonio Palumbo.
Mentre legge l’uno e l’altro, continua a scodinzolare la testa come segno d’incomprensione e di rabbia.
Lo stronzo, alla fine, l’avvocato l'ha scelto: guarda un po’chi è? Lo stesso del “caro” zio, allora è lei che ha preso una cantonata? Non è poi quello che lei vorrebbe sia, cioè l’eroe della sua fanciullezza.
Forse perché sperava fosse? Questi e altri Interrogativi circolavano in testa vertiginosamente.
Lei quella notte di tredici anni fa aveva sperato che il paladino della sua storia fosse quello che ogni ragazzina sogna. Bello, forte, e senza macchia.
La madre non se l’era bevuta la storia che non era successo niente, bastarono i sospetti a imporre, dopo poco tempo, il trasloco di lavoro. A Mira in quel poco tempo che rimase, bastò per mandare in galere due delinquenti.
I due bastardi chiesero il pizzo a Gustavo, al poverino non furono sufficienti i suoi lamenti per cercare di mitigare l’esosa richiesta, volevano cinque milioni di lire, forse la richiesta era per avere un ricordo della lira, perché a breve sarebbe scomparsa dalla circolazione. Mira già aveva capito il perché della visita dei due, li conosceva bene per averli visti facendo parte della cricca dei “cari cugini, ” questo non riusciva mandarlo giù, aveva la faccia tosta di chiedere il pizzo a Gustavo, uno che ha lavorato per tutta una vita, senza mai lamentarsi di non aver colto mai i frutti di un’esistenza agiata. Mai una vacanza, mai un weekend, sempre instancabilmente a lavorare.
Gli bastò telefonare all’anticamorra della questura comunicando loro, la sera del ritiro del pizzo, e chi erano i due.

Quella sera in pizzeria, insieme ai clienti a un tavolino vicino alla cassa, erano seduti due nerboruti poliziotti, dall’aspetto sembravano due delinquenti, altri quattro, dallo stesso aspetto, stavano appostato nei pressi della pizzeria. All’ora fatidica si presentò all’incasso uno dei due malviventi, mentre percepiva dalle mani di Gustavo la prebenda, i due poliziotti già erano al suo fianco, nel frattempo il socio all’esterno, a cavallo di una moto, era arrivato trafelato a dire al compare di sbrigarsi.
 Fu bloccato anche lui, gli trovarono nel cruscotto della moto una pistola con il numero di seria limato. Per quella sera niente pizza/o. In questura Gustavo dettava le sue ragioni, per non denunciare i due per estorsione, il commissario voleva denunciarlo per connivenza con la camorra.
A risolvere la questione ci pensò Mira. Al momento del suo interrogatorio disse che avrebbe parlato solo con il questore, a nulla valsero le minacce dell’ispettore, alla fine il poverino cedette alla caparbietà della ragazza, facendo materializzare il questore. E lei dichiarò: Sono stata io a telefonarvi, se ve la prendete con il signor Gustavo, farò sapere che sono io la colpevole a denunciarli, anche se sono la nipote, di quel disgraziato di Peppe o’pazzo, state sicuro che non me la faranno passare liscia, e sarete voi a tenermi sulla coscienza. Oltre al fatto che mai più denuncerò altri soprusi, se mi capiterà l’occasione, sempre ché, la passerò liscia con mio zio.”
Il questore guardava la ragazza e sorrideva, stava pensando: tu guarda questa figlia di una buona donna che capace di inventarsi, e ha anche ragione. Quel pazzo dello zio è capace di tutto, non posso mettere a repentaglio la sua vita, anche se dovessero torcerli un solo capello.
Gustavo fu diffidato, i due finirono in galera, e Mira cambiò lavoro, finì a fare la cassiera a mezza giornata in un piccolo supermercato. La madre impose: se proprio vuoi lavorare, dove, come, e con chi, lo scelgo io.
La povera donna non immaginava, non erano solo le strade buie, il rischio che correva la figlia. Al supermercato fu testimone di una rapina a mano armata. Anche questa volta, identificò il colpevole della rapina subita, essendo lei la cassiera del supermercato. Quella volta Peppe o’ Pazz se la prese con i rapinatori che erano andati a minacciare la nipote. Mentre gli amici del figlio finivano in galera.
Le cose si complicarono quando sotto le festività di Natale, si presentò uno dei suoi “cari” cugini con un codazzo di suoi pari, a chiedere una sovvenzione per i detenuti della famiglia in carcere. Un obolo che la camorra fa pagare a tutti i commercianti della Campania, per sovvenzionare i detenuti e le loro famiglie, beninteso si tratta di detenuti affiliati alla camorra. Una volta presentatosi chiesero al gestore del supermercato la modica cifra di cinquemila euro, per Natale e la stessa per Pasqua. La ragazza conosceva il motivo della visita del “caro” cugino, vedendo il povero gestore preoccupato, pur sapendo che non poteva mandare in galera il “caro” cugino, penso di risolvere la questione a modo suo.
Anche se a malincuore, telefonò allo zio, gli disse era stata convocata in questura perché era giunta voce che nella zona qualcuno taglieggiava i commercianti, essendo lei della zona, e sua nipote, dovevo inevitabilmente conoscere, anzi obbligata sapere chi fossero questi “signori”.  
Ora, se la cricca, capeggiata dal cugino, si presenterà per la seconda volta per incassare la prima trance di pagamento, sicuramente la polizia sarà avvertita, da chi già la prima volta l’avvisata della presenza della banda, questa volta non potrà dire di non conoscere chi erano i signori venuti a incassare.
Nonostante il discorso fatto allo zio, il cugino si presentò lo stesso il giorno che lui aveva prefissato il pagamento, voleva dimostrare che lui non aveva paura di nessuno.
Mira, essendo della famiglia, gli fece capire che nemmeno lei aveva paura, prese il parente da parte e gli confidò.
Ora, ripeté al cugino, tutta questa brava gente che gira per il supermercato mi ha visto parlare con te e i tuoi amici, cosa penserà chi a fatto la prima soffiata alla polizia? Il minimo che io sono una vostra complice.
È dato che io non ho nessuna colpa, né intento avere a che fare con la polizia per colpa vostra, se sarò chiamato una seconda volta dai carabinieri non potrò dire di non conoscerti. Inoltre, tuo padre sa che sei qui?
Con questo gli fece capire che la responsabilità sarebbe caduta sulla sua testa, se l’affare avrebbe preso una brutta piega. Inoltre non ha messo in conto la cosa più grave, quella di aver disubbidito a un ordine del padre.
Il cugino in quel momento avrebbe voluto strozzarla, si con-tenne sapendo che aveva ragione, perdi più c’erano testimoni. Ancor più furbamente lei, accompagnandolo in strada fuori dal supermercato, lo prese sottobraccia, per rendere più confidenziale, e pubblico, il loro incontro.        
Con quest’ultimo atto, Mira terminò anche di lavorare al supermercato, la madre fu categorica, non usò mezzi termini: se mi vuoi bene, non mi devi far vivere con l’apprensione che ti possa succedere qualcosa.
Se proprio non vuoi che io paghi i tuoi studi, vuol dire che i soldi te li presto, quando guadagnerai con il tuo lavoro, lì restituirai, non ci sono repliche a queste condizioni.
Il questore aveva ragione quando ha pensato la qualità della madre. Qualcuno gli avrebbe detto: un melo non genera pere, o viceversa.
Lei, conoscendo la madre, sapeva che non avrebbe ma riscosso il suo debito, per cui rifece la sua controproposta.
“A questo punto non mi rimane che andare a lavorare da nonna Mira a Santa Lucia, così imparo anche a cucinare, tu lo sai come cucina bene zia Assunta.”
E la madre.
“E tu pensi, che io ti faccia andare fino a Santa Lucia con il motorino? Levatell’ a’capa figlia mia.”
La ragazza, non essendo una stupida, dovette dare ragione alla madre. Però la madre dovette giurare, si sarebbe presi i soldi che lei avrebbe speso per i suoi studi.
A questo punto pensò non indebitarsi troppo con la madre, non perse tempo a laurearsi.  A ventuno anni laurea in diritto pubblico e penale, a venticinque quella di scienze politiche. Mirian Cascella a venti otto anni, ha messo a frutto l’intelligenza, la caparbietà, e la volontà di fare quello che riteneva giusto. Non è un nonsenso obbiettare che le stesse qualità che servono per chi fa le cose giuste, sono utili anche per chi delinque. Con qualche differenza però.
Le motivazioni possono essere agli antipoti, senza che questo denoti una deficienza d’intelligenza.
È per questo, che ora Mira legge e rilegge quei fogli, meravigliandosi dell’epilogo della faccenda. Continua a ripetersi che non è convinta di quello ascritto, sia sul verbale dei carabinieri, che su quello della procura. L’ultima nota stonata è: perché lo Jarden non ha voluto che lo difendesse né io né Mario? Ha invece scelto di farsi difendere dall’avvocato proposto dallo zio? Allora non devo più meravigliarmi: se davvero Jean-Jesus Jarden, come ora si fa chiamare, è davvero un poco di buono? Salomonicamente si assolve dicendo, tutti possiamo sbagliare nel valutare una persona. Non può negare di stupirsi, le dispiace che la storia del suo eroe finisca così.
Per mesi dopo quella notte di tredici anni fa, ogni sera allungava il collo per vedere se tra quelli che entravano in pizzeria  ci fosse tra loro il suo salvatore.
Solo dopo che cambiò lavoro, quasi si dimenticò di lui, non del tutto però. Ogni tanto riaffiorava il ricordo di quella notte con la sua immagine che man mano si sbiadiva. Averlo rivisto dopo tanti anni non poteva che darle emozione.
Non si chiedeva cosa fosse e del perché, sentiva venirgli dal profondo un senso di amarezza!
E da persona ragionevole doveva trovare ed esigere una spiegazione. Con disappunto rimette i fogli nella cartella scrivendoci su, di chi, e di cosa si tratta, poi la rimette nello scaffale dietro alle sue spalle dove ogni cosa trova posto per essere, all'occorrenza, tirata fuori.
Esegue scrupolosamente il suo lavoro per non perdere tempo al momento di necessità la sua massima è: Se le cose sono al loro posto, non si perde tempo cercarle.
 Anche perché non avrà esigenza a breve consultarle, sapendo quello che fa con quel signore non vorrà più averci a che fare.
Almeno questo è quello che pensa Mira al momento, per il futuro chissà se ci sarà necessità tirarle fuori!
Appurato che lei già sapeva una parte di verità su Jean-Jesus Jarden, o come cavolo si chiama, quella lontana notte del mese d’aprile duemila, l’accento del giovanotto nulla aveva a che fare con quello odierno del raffinato marsigliese, questo lo può dare a bere ai poliziotti, allo zio, all’avvocato dello zio, ma non a lei! Ciò non toglie che saperlo non cambia molto il suo coinvolgimento nella storia.
A meno ché lei non denunci i suoi sospetti alle autorità. Qualcosa gli dice, che farlo non sarebbe saggio. Ora non sa spiegarsi il motivo, ma a naso ha molti dubbi sul comportamento delinquenziale di Jean Jesus. Gli dispiacerebbe non poco se le sue esitazioni fossero infondate e potessero danneggiare o ingarbugliare ulteriormente il caso.
Alla fine decide di soprassedere, per ora, aspettando gli sviluppi successivi. Perché immagina che la storia con Jean Jesus non finirà con lui in galera. Ora non sa perché ha questa convinzione, ma il suo fiuto gli dice di non sbagliarsi.
             
                                                             La triade
Salvatore Biancofiore detto “Totore cap’e fierr” per la bravura con la quale apre porte e teste dei suoi nemici con una testata. Il sodale Antonio Capuano; detto “Totonn per’e puorc”, una bravura non eguale nell' usare il piede di porco per scassinare tutte le porte che fossero necessarie per la ditta. E per ultimo non solo per altezza Ciro Esposito; detto “o’ninnillo” non perché fosse un bambino, perché era alto poco più di un metro e cinquanta, e pesava poco più di cinquanta chili. Lui era utile, per non dire necessario per fare da ultimo scalino della scala umana, per ficcarsi in ogni pertugio o fessura.  Chiamata triade, oppure: i tre da' piazz, Mimì, Coco e Carmine o'pazz, perché dov'era uno loro, trovavi a qualche spanna, gli altri. Il pomeriggio all'imbrunire sbucavano dalle loro tane, migliore aggettivo è difficile trovare per il luogo dove abitavano. Il posto dell’incontro era sempre lo stesso, nella putrida saletta chiamata arbitrariamente Circolo Ricreativo Maradona. Il suo arredo composto, da due biliardino, due macchinette mangiasoldi, due tavoli da gioco per le carte, dieci sedie, otto per i giocatori e due per gli osservatori per il commento alle spalle di questi.

La triade rimaneva a giocare fino all'orario di lavoro, degli altri, perché il loro, cominciavano dopo la mezzanotte, e oltre.
Un connubio perfetto, una macchina da scasso e altro.
 Non avevano una vera specializzazione. Il connubio dei tre faceva sì che loro riuscivano dove gli altri si fermavano, il motivo? Salvatore è un omone alto più di uno e novanta, Antonio, nella media, un metro settantacinque, Ciro, come già detto, poco più di un metro e cinquanta. Questi era la triade.
Messi l’uno sull’altro formavano una scala umana,pronta a ogni evenienza, anche arrivare ai primi piani alti di vecchi e nobili palazzi della vecchia Napoli. I primi piani erano cosa facile, per i secondi era pronta una giunta di uno scanno, uno degli attrezzi di servizio che avevano all'occorrenza . In povere parole non c’erano appartamenti che loro non potessero aprire come si fa con una scatoletta di tonno, a strappo o a testate.
Fattosi l’ora, i tre compari smettono di giocare a tressette percorrono pochi metri s’infilano nella pizzeria adiacente al cosiddetto Circolo Maradona.
Il menù è sempre uguale, una pizza ripiena salame e ricotta, mangiata in fretta e furia in una specie di furgone, lamiere arrugginite su quattro ruote, ma alla bisogna efficiente a trasportare ogni refurtiva.
Se qualcuno pensa che il ladro rubi per arricchirsi sbaglia di grosso. Non c’è povero più povero del ladro, non solo perché è povero d’animo. Mariolo non si nasce ma si diventa, se addirittura non lo eredita. I nonni dei tre si divertivano, si fa per dire, appena nel dopo guerra, facevano i bidonisti agli americani e ai poveri sprovveduti venuti da fuori, appena sbarcati dalle navi nel porto di Napoli. I genitori, sulla scia dei padri, appena finito il contrabbando di sigarette e whisky americano, rubacchiavano quello che potevano. Per questo i poveri cristi della triade, non erano loro a scegliere qual era il futuro. Volendo o dolendo la strada era quella percorsa e lasciata in eredità dai padri, il mestiere sempre quello: il ladro.
Inutile illuderci, perché rubare è un mestiere come tanti altri, anche se spesso viene camuffato in diversi modi. Corruzione,
aggiotaggio,  appropriazione indebita, mazzetta, ecc…ec……
Cambiato il presupposto il fattore non cambia. Se tre generazioni di ladri non sono state capaci di raggranellare quando bastava per metterne un po’ di soldi da parte, che speranza hanno i loro figli, se non quella di seguire le loro orme? Quando tutto gli va bene?
Qualcuno dirà: il denaro rubato servirà a dare più potere ai ladri. Questa regola vale per chi comanda, chi sta in testa alla piramide, cioè per i colletti bianchi, e non per i nostri tre eroi e per la loro specie. I derelitti nella scala dei valori della società. Per loro questa è un’emerita sciocchezza, non è vero che si ruba facilmente, se fosse così, i ladri sarebbero molto più di quelli in circolazione.
Quando non sono in vacanza a carico della collettività, nelle prigioni di Stato.
 Diciamo che non tutti i colpi vanno a segno, e quelli che ci vanno non sempre rendono a sufficienza.
Bisogna fare un’equazione, esempio: primo valore della refurtiva, un Rolex d’oro.
L’acquirente ha pagato al gioielliere dieci, è tale quantifica la perdita, cioè la spesa che lui ha sostenuto all’acquisto.
Il ladro è bravo se ricaverà dalla refurtiva il venti per cento del valore, cioè, due.
A voler essere obiettivo il ladro deve rendere, sul lavoro, per cinque per ottenere il massimo, cioè dieci, se poi calcoliamo che per lo stesso lavoro sono in tre a dover trarne profitto, solo allora si avrà il vero calcolo di energie e di paura, perché sarà strano, per qualcuno, ma anche i ladri hanno paura, e come. Una volta sfatata la leggenda che i ladri rubano perché è facile o per arricchirsi, torniamo ai nostri eroi.
Il programma stabilito dai tre compari era quello scassinare nella notte il deposito di un piccolo supermercato, di quelli non appartenente alla grossa catena di distribuzione, uno di quelli gestiti a carattere famigliare per intenderci.
Almeno questo era nelle loro intenzioni, ma non sempre i desideri si avverano o vanno nel verso giusto.
A scassinare il deposito non ci misero molto, trasportare prosciutti, salame e formaggio, nel loro sgangherato furgone, nemmeno, l’inghippo nacque con la forma di parmigiano, per cap’e fierr sollevare i quaranta chili della forma di reggiano fu una bazzecola, poggiarlo nel furgone pure. O’ninnill considerò  non essere da meno del compare, vedendo la facilità con cui l’amico l’aveva sollevata, pensò fare altrettanto.
Riuscì solo metterla verticale però. Non tenne conto che la strada era in pendenza, prima che questa prendesse a rotolare dal furgone giù in strada.
Per colmo di sfortuna, la via in pendenza, permise alla grossa forma di reggiano prendere velocità fino a schiantarsi: indovinate dove? Nella portiera dell’auto della polizia, che in quel momento transitava sulla strada più giù, in parallelo alla verticale del formaggio.
 I tre rimasero impietriti, non per l’arrivo della polizia, ma per il dispiacere di aver perso un colpo quasi perfetto.
Sapete cosa dichiararono alla polizia i tre gaglioffi? Che loro erano arrivato al furgone nello stesso tempo, proprio in quel momento. Erano rimasti meravigliati anche loro, e non sapevano chi avesse messo la merce nel loro furgone.
 Loro erano lì per andare a lavoro non per rubare, stavano appunto togliendo la merce dal loro furgone perché non apparteneva a loro e non sapevano di chi fosse.
Chiamali stupidi!  Non ci crederete, la polizia verbalizzo la loro dichiarazione, chiamo il proprietario del piccolo supermercato per inventariare la merce e trasportarla di nuovo a magazzino. Questo fu ripetuto dai tre anche alla presenza del giudice, chiamato a giudicarli in direttissima, il quale non poté che rilasciarli non essendoci prove alloro carico. 

Se i tre pensavano di cavarsela per il rotto della cuffia si sbagliavano di grosso, avevano fatto i conti senza l’oste.
Il locandiere in questione era Giuseppe Polveri alla cui corte furono chiamati a rispondere i tre malcapitati.
A Napoli, e non solo, ci sono due tutori della legge, la polizia con i giudici e le carceri.
Poi ci sono le varie organizzazioni criminali. A detta di molti la seconda è meglio organizzata, tutte e due hanno la stessa funzione quello di far rispettare le regole. Conosciamo quelle dello Stato, meno quelle della criminalità.
I tre disgraziati sono andati a rubare a un protetto dalla camorra , protetto si fa per dire.
Ci sono diversi modi di pagare chi ti vessa, il primo consiste di comprare la merce che la camorra t’impone, sia quello prodotto legalmente da loro, oppure  manufatti da imprenditori che non riescono a entrare sul mercato.
 I quale poi pagheranno una percentuale sul venduto, in nero, ai signori della camorra. Poi ci sono quelli che prendono le distanze, perché si ritiene persona onesta, ma ciò non li esonera a pagare con moneta contante il pizzo.
Molti pagano o comprano per avere una polizza  assicurativa, ti salva da altri clan e da ladri e rapinatori.
I tre furono prelevati, di peso, dal circolo ricreativo, e condotti alla presenza di Peppe o’pazz.
“Giovanotti! Questo è l’ultimo avviso che faccio a tre teste di cazzo come voi, sulla mia zona non dovete operare, dovete lasciare in pace i miei amici, ci siamo capito! Non ci sarà un altro avvertimento. E non pensate ci rimetto colpi di pistola in quelle vostre cap'e merd che vi ritrovate, vi faccio affogare e sotterrare nella merda dei bufali. È questo che volete? Fatelo
un’altra volta e io v’accontento.”
Dopo che i tre hanno assentite con la testa più volte, senza mai parlare, il Boss elargisce la sua magnanimità.
 “Se fati i bravi vi do io da guadagnare. La settimana prossima ci sarà da piazzare un carico di prosciutti e grana padana, Michele mio figlio vi avviserà e darà le istruzioni al momento opportuno. Mo toglietevi dalle palle.”
Inutile far rilevare che si tratta di merce rubata. Le società di assicurazioni ormai si rifiutano di assicurare i trasportatori che dal Nord, scendono oltre Roma verso il sud dell’Italia.

Qualcuno una volta disse: Cristo si è fermato a Emboli.
Non credo che al nostro caro e onorato Levi, avrebbe fatto piacere sapere che la linea di demarcazione non è più quella. Il deserto del malaffare, la desolazione della miseria, il malcostume cancro della società, sta rodendo man mano la penisola. L’anima degli uomini va coltivata come la terra, senza aspettare che l’albero diventa grande, bisogna innaffiarlo, potarlo, concimare prima, non quando, ahimè è troppo, tardi. Così facendo si lascia spazio alla malerba di attecchire ed espandersi, soffocare la pianta, senza possibilità d’arginarla.  
Quando a mantenere l’ordine e far rispettare leggi e regole, non sono quelle della società civile, ma poteri costituiti arbitrariamente, vige la legge della foresta, quella del più forte, del più astuto, del più disonesto, del più feroce.
Per i tipi come Peppe o’pazz è facile mantenere l’ordine nel proprio reame, perché ai sudditi non è concesso appello! Chi sbaglia paga con la propria vita.
È così La famiglia acquisisce tre altri elementi.
Difficile che qualcuno non sappia come nascono le famiglie allargate dei malavitosi.
 Direi impossibile, i giornali, la televisione, libri riviste, sono cresciute proprio parlando di malaffare, solo chi è sordo e cieco, può non vedere, sentire quello che la criminalità organizzata è riuscita in questi ultimi anni a organizzare nella collettività e in politica. È così addentrata in ogni ganglio della società da fare apparire come fosse cosa normale.

 Per entrare a far parte in una della tre, mafia, camorra e ndrangheta bisogna prima sottostare a un tirocinio che può durare anche anni di gavetta, si comincia dal gradino più basso, per assurgere man-mano e guadagnando la fiducia della famiglia a posti più rilevanti. Tutto questo sempreché prima l’elemento non sia eliminato dai rivali, ammazzandolo.
 L’iter è sempre lo stesso da secoli, s’incomincia con la manovalanza vera e propria, fare il palo, scaricare e caricare merce rubata, guidare camion e furgoni per lo spostamento della refurtiva. Fare da autista e guarda spalle ai capobastone. Dopo un periodo in cui l’elemento dimostra di saperci fare, è sottoposto al battesimo del fuoco, ammazzare un concorrente o un presunto nemico della famiglia.
A missione riuscita è sancito il patto di sangue, l'affiliato entra a far parte della famiglia diventando cosa propria del Boss, il quale può disporre, della sua vita nel caso ce ne fosse bisogno, in ogni momento.

Questo è uno dei modi per entrare per far parte nelle cosche camorrista e mafiose, per la ndrangheta il sistema è diverso, per farne parte bisogna essere consanguineo, quelli acquisiti.
Rimangono semplici ndranghetisti. Un altro sistema, è coinvolgere elementi che possono essere utili alla famiglia.
Tra questi la maggior parte sono: commercianti senza scrupoli, pronti ad acquistare merce rubata e sottocosto, e a nero.
 Inizialmente loro pensano di fare solo un buon affare, invece senza rendersene conto entrano a far parte nel meccanismo malavitoso, dopo, non possono rifiutare favori alla cosca quanto questi saranno richiesti. Questo succede anche con i professionisti, medici, ingegneri, avvocati, ragionieri, commercialisti, notai. Tutti sono coinvolti in modo che dopo non possono rifiutare d’essere assoggettati a loro. I guadagni facili e remunerativi fanno gola a molta gente che non si fa scrupolo di come e dove vengono i soldi.
Spesso li reclutano quando questi sono all’inizio della professione, quando la necessità di guadagno induce, a essere meno schizzinosi ad assumere un incarico professionale da un malavitoso. Qualcuno dopo anni se ne rammarica o si pente, quando ormai è troppo, tardi. Ormai sono stretti in una morsa
letale, meglio dire, uno abbraccio mortale.
Gli schedari della polizia sono pieni di casi d’omicidi irrisolti di persone incensurate, pochi di questi si saprà mai la causa e di venirne a capo.
                           Proposta indecente
Per Mira, era quasi ora di chiudere l’ufficio e andare a casa, Maria, la collaboratrice, da un pezzo aveva alzato i tacchi, forse in strada l’aspettava il fidanzato, sorride all’idea, un po’ meno quando è il trillo del campanello a distoglierla dal suo daffare, si chiede: speriamo non sia un/a perditempo.
Il suo stupore aumenta quando dall’occhio spia della porta, vede suo zio Giuseppe, si chiede cosa vorrà? Lecito chiederselo ma lo stupore resta. Non gli rimane che aprire per sapere: “Ciao Picceré, non dai un bacio a tuo zio?"
Si fa da parte, permette a lui d’entrare, noncurante dell’offerta Affettuosa proposta dallo zio. Lei sa bene che sono parole vacue, che nulla hanno a che fare con l’affetto parentale.
“Giuseppe Polveri, non credo ti sei scomodato arrivare fino a Pozzuoli per ricevere in compenso un bacetto sulle guance da chi ti rifiuta anche come zio.”
“Cominciamo male Picceré, dovresti sapere ormai che le mie intenzioni sono sempre buone per te.  E poi di quello che vuò, fai sempre parte ra’famiglia. Sono qui per proporti un affare, è non pensare che non sia lecito, anzi direi più che lecito, è “onorevole.”
Segue una risata alla battuta di onorevole, la farsa sembra anche a lui poco credibile. Di fatto la giovane avvocata non può che rispondergli a tono.
“ Giuseppe Polveri, potevi risparmiati la passeggiata, tanto sapevi già la risposta, per cui era inutile arrivare fin qua.
Lui cerca di argomentare ma lei lo zittisce con un’alzata di mano, per digli. Non ho finito.
“Sai bene che non voglio avere niente a che fare con i tuoi affari leciti e illeciti, tantomeno “onorevoli” come tu li chiami. Mi dispiace non posso nemmeno ascoltarla la tua proposta, perché stavo per uscire, ho un appuntamento in cui non posso assolutamente mancare.”
Lo sguardo dell’uomo si fa duro, non è avvezzò essere trattato in quel modo da nessuno, tanto più se questo è una donna. Il suo tono non ammette repliche questa volta.
“E invece l’impegno…lo fai aspettare!”
Con queste parole chiude con il tacco del piede senza voltarsi la porta alle sue spalle, fa segno con la mano a Mira di accomodarsi nello studio.
Il buon senso della ragazza prevale sulla rabbia, andandosi ad
accomodarsi dietro la sua scrivania.
“Il fatto che mi hai costretto ad ascoltarti non significa di aver cambiato opinione nei tuoi riguardi.”
“Io sono un uomo d’affari, e tu lo sai, quello che sto per proporti è principalmente un affare per me e per te, e perché no, per l’intera famiglia. Come sai fra quattro mesi ci saranno le elezioni politiche, ho pensato che avere un onorevole in famiglia non può fare che bene, e poiché tu sei un avvocato, giovane e bella, chi più di te ha queste possibilità, premetti che l’elezione è sicura, a quello ci pensiamo noi, la tua famiglia. Pensa: onorevole Mirian Cascella. Eh, che te ne pare?”
La ragazza guarda l’uomo e si chiede cosa ha fatto per merita-re come parente un farabutto come questo. Invece morde la lingua per evitare che lui possa avere una reazione violenta. Meglio fare buon viso e cattivo gioco, per adesso deve solo trovare il modo farlo uscire dallo studio, poi si vedrà.
“Ti ringrazio dell’offerta così pregevole, mi hai colto alla sprovvista, or,ora non saprei proprio cosa risponderti. Ho bisogno di un po’ di giorni per riflettere.
Non è poco cosa, prendere una decisione così impegnativa. Ora, se non ti dispiace, dovrei andare, non posso perdere altro tempo, mi aspettano.”
L’uomo non si alza subito, riflette, non è uno stupido, lui ci ha provato, le sue parole ne sono la conferma.
Piccerè, è un’occasione da non perdere, pecchè o’tren, n’ata vote non si fermerà più alla tua stazione.”
“A volte, caro Giuseppe Polveri, è molto meglio farsela a piedi, che prendere un treno, certo non si viaggia comodi in prima classe, ma è molto più sicuro e salutare.” 
Lo zio non risponde, come accettasse per buono il consiglio. Intanto lei si dirige verso l’uscita per fargli capire che la consultazione è finita. Peppe dopo una piccola titubanza si avvia anche lui verso la porta. Sulla soglia Mira si ricorda d’essersi dimenticata alcune carte, una scusa per non permettere allo zio di fare altra eventuale avance. Lo saluta chiudendogli la porta alle spalle. Poi corre a sedersi dietro la scrivania rilassandosi sospirando per la tensione del passato pericolo. Perché avere a che fare con Peppe o’pazz è sempre un rischio anche se si tratta di un parente.

  
                                      Chi non muore, (o non va galera) si rivede.
In Italia quasi ogni anno ci sono elezioni, per cui le feste si susseguono alle festività naturali e comandate. 
È così che s’intendono le elezioni da Napoli a Caltanissetta. Tutti sono un po’ più ricchi. Circolano soldi più della tredicesima a dicembre. Sono come le festività natalizie sono giorni di vacche grasse. C’è una differenza, a gioire non sono solo quelli che hanno la fortuna di percepire una tredicesima legalmente. Sono i tipi come Totore cap’e fierr, Totonn per’e puorc, e Ciro o’ninnillo. A occhio critico si potrebbe pensare, che cosa hanno da spartire tre ladruncoli con le elezioni politiche, centrano, centrano, e hanno da spartire. Sono reclutatori di voti! La manovalanza di bassa lega di cui si parlava prima.

La politica per la quasi totalità è un affare, s’investe un capitale per ricavarne profitto. I modi sono molteplici, si va dal proselito politico al professionista conosciuto e non solo, al personaggio del giorno. Certo non sono loro a reclutare nei ceti più ambienti. Loro si occupano dei poveri cristi, disoccupati, ladruncoli di mezza tacca, espiccifaccènd, i bisognosi quelli che non riescono a mettere insiemi pranzo e cena.  
Tutti però hanno paura di non farcela. A questo punto si ricorre all’aiutino esterno, la camorra, la ndrangheta, la mafia.
Sempreché loro non hanno un proprio candidato da eleggere. Prestano i loro servizi a chi ne fa richiesta patteggiando il costo per ogni voto di scambio.
Gli eletti s’illudono che una  volta avuto l’incarico tutto finisce. Non basta aver pagato, in un modo o nell’altro, per salire al seggio, con le buone o con le cattive saranno ricattati per tutta la vita. Altrimenti c’è la pena definitiva.
La triade entra in gioco, con altri come loro, girando per i rioni popolari promettendo di tutto, al posto in comune a una prebenda cash in denari o con un pacco alimentare. L’accaparramento è molteplice: banconote da venti o cinquanta euro tagliati a metà, un pezzo prima del voto, metà dopo aver votato. Buoni pasti e taglianti d’acquisti, che i votanti spenderanno a loro piacimento, nei negozi della camorra. È in questo modo che molti politici siedono nel parlamento, non per legiferare ma per assecondare la clientela che l’aiutato a eleggerlo. È cosi, che immoralmente, il male affare si è allargato a dismisura in Italia, una catena di interessi privati, e corruzioni.

È quello che pensa in questo momento l’avvocato Mia Cascella entrando il giorno dopo nell’aula della settima penale, rammaricandosi di assistere sempre alla stessa storia, chiedendosi: finirà mai?
Giuseppe Polveri non era nuovo a progetti simili, lui poteva vantare di avere mandato un sacco di gente sia nei Comuni sia nei parlamenti a Roma. Questo, Mira lo sa bene, mai avrebbe pensato si sarebbe spinto fino a lei, sapendo cosa pensava di lui l’avvocato Mira Cascella.
Le sue riflessioni sono momentaneamente sospese perché in quel momento fanno il loro ingresso in aula i due carabinieri, con, in mezzo il presunto marsigliese. Nell’incontrare il suo sguardo, una vampata di calore sale dal basso verso il viso, una sensazione mai provata. Lui le sorride a mo di saluto, lei si gira per non mostrare il suo imbarazzo, cosa che solo lei prova e chiedendosi perché non riesce a contenere questo suo turbamento.
Prima che la corte entrasse, arriva tutto trafelato l’avvocato della difesa nel sedersi manda un sorriso di saluto a Mira, chiedendosi cosa ci fa la nipote di Peppe o’pazz nell’aula. Anche Mira sta pensando quello che in quel momento passa nella testa dell’avvocato dello zio. Non può fare a meno di sorridere pensando all’imbarazzo del collega che sospetta d’essere sorvegliato dal clan dei Polveri.  
L’udienza dura poco, il tempo che l’avvocato fa rilevare l’ine-sattezza del verbale redatto dal carabiniere, messo agli atti l’autorizzazione del possesso dell’arma, per difesa personale, dimenticato nella valigia in albergo. Fatto rilevare che il suo assistito nell’estrarre la pistola non voleva minacciare il colonnello dei carabinieri, bensì stava semplicemente conse- gnando la pistola a chi compete. Il teste chiamato in causa dovette ammettere che non ci fu minaccia verbale contro di lui, era stata una supposizione di uno dei militari a pensarlo. Non avendo nessuna relazione con il resto degli arrestati, ma trovandosi per puro caso nei pressi del capannone dove era in atto la retata.
Il giudice non poté che prendere atto delle dichiarazioni e di-chiarare nulla a procedere nella persona di Jean-Luc Jarden, il quale non aspettò oltre nel porgere le mani ai militi per farsi togliere i ferri ai polsi.
Mira, non attese nemmeno lei altro, preso atto che era tutto una farsa, girò sui tacchi e uscì dall’aula.
L’aveva immaginato sarebbe stata quello che poi è stato, una madornale farsa a spesa della legge, e una presa in giro per l’incolpevole e inconsapevole giudice, forse.
Bolliva di rabbia per vari motivi, sapeva che lui non era quello che voleva fare intendere fosse.
L’entrata in scena dell’avvocato dello zio palesava un coinvolgimento del presunto Jesus Jarden in trame losche. Qualcosa non quadrava però, lei si sentiva impotente e per questo reprimeva l’irresistibile impulso di urlare l’insoddisfazione, l’impotenza d’essere una spettatrice e nulla più.  
Nel pomeriggio, non appena entra in ufficio, l’amica e assistente sembrava la aspettasse per comunicargli qualcosa d’interessante non solo a lei. Rimane delusa dopo che Mirian
le chiarisce che per lei la notizia non è una sorpresa.
“Mira, hai un appuntamento alle diciotto con un nuovo cliente, sono curiosa di conoscerlo anch’io."
Mira, guarda Maria, la sua assistente, arcuando leggermente la fronte, si chiedeva perché quella curiosità da parte sua.
“Ha un accento francese delizioso.”
Si precipita soddisfare l’amica, visto l’espressione di dubbio sul volto di Mira. 
“Ah, per tua informazione non è nuovo, e innanzitutto non sarà nostro cliente di questo puoi esserne certa. Poi con calma ti racconterò il perché…. non insistere, ho detto poi.”
La ragazza anche se con broncio deve accontentarsi della pro-messa. Considerarsi amica, non le concedeva il permesso d’obbiettare i rilievi fatti dalla datrice di lavoro, che apprezza, e stima, sia per l’emolumento fine mese, e per quello che impara seguente le sue direttive.
Mira guarda l’ora, poi si chiede perché lo fa: non ho nessuna fretta d’incontrarlo il bel tomo che passa per francese. Sa che non è vero, ed è per questo, che guarda l’orologio al muro.
Forse viene a scusarsi per avermi mentito per tutto il tempo. O per riavere i cinquanta euro? Ma nooo? Poi si ricorda averglieli lasciato sul tavolo insieme al suo biglietto da visita.
Anche se fosse, a quello gli fanno un baffo, i miei miseri euro. Sono stata una stupida andare questa mattina in aula ad assistere alla farsa, chissà cosa avrà pensato. Mi basta attendere per saperlo. Questo e altro si chiede, mentre il suo sguardo torna all’orologio per accertarsi dell’ora. 
Alla fine le ore18 arrivano, e con esse il trillo del campanello d’ingresso. Per un attimo distoglie l’attenzione dal cliente che ha davanti, solo pochi secondi, sufficienti a fargli capire con quanta tensione stava aspettando quel suono.
Maria fa capolino dalla porta per avvisarla che il cliente delle ore 18 è arrivato. Un escamotage per dire al cliente seduto davanti a Mira, di alzare i tacchi perché il suo tempo è scaduto, e che ci sono altri clienti in attesa.
Nell’accompagnare, salutandolo, l’ospite alla porta, s’imbatte in Jean-Jesus che di spalle osservava un acquerello comprato da lei in un bugigattolo d’antiquariato a San Biagio dei Librai.
“Se vogliamo accomodarci, faccio strada.”
Lui la segue senza proferire parole, fin quando non si è seduto di fronte a lei.
“Che ne dici, se sotterriamo, lascia di guerra? L’ultima volta non è che avevi molta simpatia per il sottoscritto, anche questa mattina sei scappata, eri arrabbiata come se avessi ricevuto un torto dal sottoscritto.”
Mira prima di parlare prende fiato e tempo, sa che deve ora chiarire molti punti con il bell’imbusto.
“A essere sincera un torto l’ho ricevuto, quello alla mia intel-
ligenza. La farsa che finora hai recitato urta contro la mia sensibilità di apprendimento. So che non sei quello che appari. Se ancora non ho dissolto i miei dubbi, a chi compete, e solo per cautela e rispetto alla memoria per quello che consideravo un onesto uomo. Ora, se continui sostenere di essere quello dimostrato finora, non abbiamo niente da dirci, perché chi è in combutta con Giuseppe Polveri, io, non voglio averci niente da spartire, i cinquanta euro li ho restituiti, altro non ci accomuna, finisce qua la nostra storia, anche se non avrei voluto finisse così.”
Lui avendo fisso lo sguardo nei suoi occhi, non parla, anche se non ha smesso di sorridere, facendo innervosire ancor di più lei. Si alza facendo un cenno d’attesa, esce dall’ufficio per ritornare dopo dieci secondi. Tra le mani ha un magnifico mazzo di rose rosse.
“Li avevo dimenticati dalla tua segretaria, questi sono per te, ora possiamo ricominciare da capo?”
Mira guarda prima le rose poi lui, non nasconde un sorriso.
“Le rose sono belle, anche se continui a raccontare bugie.”
Lei sapeva che la dimenticanza non era vera, se lo fosse stato, Maria si sarebbe precipitata da lei con i fiori in mano ricordando allo smemorato di averli dimenticati. È evidente che l’amica Maria si è fatta corrompere dallo sguardo dolce di Jean-Jesus, o come cavolo si chiama.
“Non accetto i fiori da uno sconosciuto, perché io non so chi sei, e fin quando non saprò con chi ho a che fare, non accetto omaggi, anche se sono fiori, credo di essere stata chiaro.”
“Mi avevano detto eri tosta, non immaginavo tanto. Perché pensi, che non sia quello che affermo di essere?”
“ Continui a offendere la mia intelligenza, tu quella sera che mi venisti in aiuto non eri in francese di oggi. Tutta la farsa dell’arresto e della convocazione davanti al giudice raccontala a qualcun altro, i militi non saranno dei geni, ma nemmeno tanti stupidi da non saper redigere un ordine di cattura alla presenza di un colonnello. Se continui a sostenere ancora tutto ciò, non abbiamo più niente da dirci, se non ti dispiace, avrei da fare, non sono avvezza ascoltare fandonie da presunti farabutti. Se sei venuto per un consulto, sappi che la mia parcella costa cara, molto cara. Se poi come tu dici, sei sotto le vesti di vecchio amico, come già detto, non accetto che mi si dicono bugie, tanto meno da uno che si professa amico.”


                   Una proposta “quasi” indecente
Detto fatto, si alza dandogli la mano attraverso la scrivania. Lui rimane seduto, la guarda per interminabili secondi prima che la voce di quella notte di tredici anni fa, pronuncia verbo.
“Mira, siediti ti prego.”
Passano ancora interminabili secondi prima che riapre bocca.
È evidente che quello che ha da dire gli crea difficoltà, ma sa, che la ragazza subodora già qualcosa se vuole la sua amicizia, è lui la vuole ad ogni costo e non solo per la sua sicurezza personale. È arrivato al dunque, non può mentirgli più a lungo. Dal primo giorno a capito che Mira non è una stupida, anzi, ad averle donne belle e in gamba nell’organizzazione in cui milita. Lui questo ne è conscio, però ciò non basta.
“Devo chiederti comprensione e fiducia, a dir meglio mi appello alla deontologia dell’avvocato per il segreto professionale. Prima però, ti devo delle scuse, hai ragione, non sono francese, né Jean-Jesus Jarden, mi chiamo Jesus Di Nazaretti, di più non posso dirti. Questo rimane tra noi, questa confessione non doveva mai avvenire, l’ho fatto per non offendere ulteriormente la tua intelligenza, e per non compromettere quello di cui mi occupo. Ho fiducia nel tuo silenzio, sappi è in gioco la mia incolumità. Basta questo per avere la tua fiducia e comprensione?”
“Bastava mi asserissi la verità, che non eri quello che volevi apparire. Non pensi che abbia capito qual è il tuo segreto. Una curiosità che non ha nulla a che vedere del nostro caso. Mia nonna materna porta lo stesso tuo cognome, non è che alla fine potremmo scoprire essere lontani parenti?”
Questa ingenua considerazione buttata lì tanto per dire, non
 può immaginare quando vicino è alla verità storica.
“Chissà, forse, da quello che ho potuto appurare, sono pochi i Di Nazaretti in giro, ma questa è un’altra storia da verificare. Tornando a noi, sì, credo anch’io già conosci metà verità, lo stesso non posso dire altro, perché è meglio per entrambi.
Finito la nostra controversia, mi permetti di invitarti a cena? Ti prego non dire di no. Perché ho una proposta, interessante, da sottoporre alla tua attenzione.”
Mira e Jean-Jesus andarono a cena, lui gli sottopose la famosa proposta. In cambio Mira scoppiò in una sonora risata, non aveva tutti i torti nel trovare la proposta esilarante, poiché aveva ricevuto, poco tempo prima, un’altra diametralmente opposta dal suo “caro” zio.
Quella di Jesus non offendeva la sua morale ma era lo stesso lontano dal suo vivere la vita. Lei non cerca colpevoli da condannare, si batte per provare l’innocenza dei presunti colpevoli. Dare la caccia ai malfattori si finisce somigliare a loro, a furia sentire le malefatte si acquisisce senza volere la stessa mentalità del sistema truffaldino dei partecipanti.  Aveva fatto una scelta di campo.
Era quello per cui si era battuto da piccola, non avere niente che conducesse alla sua famiglia.
La proposta mostrava che lui prima di fargliela aveva preso le dovute cautele informandosi sulla sua persona presso il casellario giudiziale e le autorità competenti.
Non basta essere avvocato per risultare ligio alle leggi, per entrare a far parte  nel corpo dei carabinieri, la fedina penale deve passare nella lavanda gastrica. Deve essere immacolata come l’anima di un bambino. Che poi dopo qualcuno di essi si macchia di orrendi soprusi, bisogna  considerare che l’anima
non è più quella di un bambino.  Spesso si danno per scontato, cose che scontate non sono. 
C’è sempre un motivo che porta a comportamenti e azioni che nulla hanno a che fare con il nostro DNA. Continuiamo a commettere l’errore di valutare le azioni e comportamenti come se fossero ereditari. Tutti sappiamo che non è detto il figlio di un bravo avvocato diventi avvocato pure lui, potrebbe addirittura non finire gli studi, così è per l’ingegnere, medico, ecc..ecc.. ciò non ci impedisce di bollare un figlio di un ladro, ladro anche lui.
Chi non ha sentito questa espressione: tale padre, tale figlio. Chi sa perché a farci caso, spesso è usata sempre in termine spregiativo. Nessuno nega, come in tutte le cose umane, che le eccezioni non mangano.
Usare come motto che i figli sono a immagine e somiglianza dei genitori e pura eresia. Molti dubitano che sia vera anche quella che c’è tramandata da millenni dalla chiesa di Roma. A loro dire, si può condividere o no, che siamo a immagine e somiglianza di Dio.
Doveva essere un gran peccatore, Lui, se è vero che la colpa dei padri ricade sui figli. Perché tutto si può dire ma non che l’umanità abbia attraversato ere felici.
Bisognerebbe chiederci: quante sono, e quando finiranno, le pene da scontare per i figli di Dio?
 La risata di Mira ha un po’ a che fare con le sopra riflessioni, perché la proposta di Jesus, fatta appena pochi giorni di differenza da quello dello zio. Consisteva in una sua collabo-razione nelle forze di polizia, specificatamente nei ROS dei carabinieri, per chi non l’avesse ancora capito, il giovane è un capitano dei ROS sotto mentite spoglie. 
Mira aveva tutte le ragioni, trovare l’offerta buffa e irridente, del suo eroe.  
Ecco perché non bisogna dare per scontato quello che sconta-to non è, se prima non c’è la controprova.
L’uomo nella sua esistenza ha modificato quasi tutto, perfino la natura che lo circonda, deviati i fiumi, creando nuove razze di animali, ha rasato a suolo le montagne, perforando la crosta terrestre rendendola come una gruviera.
L’unica cosa che ancora non gli riesce modificare è il suo cervello, ma non è detto che, prima o poi, non riesca.
 Alcuni ci hanno provato, il risultato non è stato molto soddisfacendo, Frankenstein per esempio, ci hanno riprovato in più maniere, il risultato, ahimè non è stato molto brillante. Per ora dobbiamo accontentarci dei cervelli artificiali.
Per il semplice fatto ogni uomo è diverso dall’altro, non solo fisicamente, non basta discendere per secoli da una schiatta per essere simili in ogni dove. Forse dobbiamo a questo la nostra grandezza e la nostra diversità dagli altri esseri viventi. Il cervello dell’uomo è in continuo evoluzione naturale.
Partiti alla pari, con il resto del mondo animale, dal quale discendiamo, siamo arrivati dove siamo.

Cioè, essere chi ha in mano le sorti del nostro pianeta, dell’habitat di tutti gli esseri viventi umani, e no. Se così non fosse stato, chi può dire cosa saremmo ora, se sia stato un bene o un male, non saremo noi a deciderlo.
Né ci sarà, a posteriori, almeno credo, chi potrà deciderlo! Anche la storia di Mira e del giovane “Jean-Jesus” forse avrà un futuro, chissà come e quando.
Loro non potevano immaginare quanto fossero stati vicino alla fine della loro esistenza.
Anche questo va lasciato ai posteri, o chi ha curiosità e pazienza per conoscere il seguito!




                       

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