HOMO AEQUUS
Se
vuoi vedere l’alba di un giorno migliore,non andare a letto
senza
speranza!
Cattivi incontri
“Mira,
lascia stare, finiamo noi mettere a posto, è ora che vai a casa. A quest’ora
tua madre comincerà a preoccuparsi.”
È la
seconda volta che Gustavo ripete alla ragazza smettere sistemare sedie e tavoli.
Ci penserà lui e Antonio a finire il lavoro di pulizia e riassetto.
La
piccola pizzeria “Gustavo” è posta ai confini di Quarto una cittadina in
provincia di Napoli, per l’anagrafe è Mirian Cascella, per gli amici, chissà
perché, la chiamano Mira, sedici anni da compiere, studentessa, frequenta il
terzo anno di liceo al Virgilio di Pozzuoli.
Si mantiene
agli studi lavorando le sere del venerdì, sabato, e domenica, alla pizzeria di
Gustavo, una volta amico del padre. Ora non lo è, perché il padre di Mira, è
stato ammazzato insieme al figlio Giuseppe dieci anni fa, gli infiniti regolamenti
di conti fra le cosche camorriste, tra le diverse famiglie dell’hinterland
napoletano. Lei Mira già da piccola decise di recidere i ponti con la famiglia
del padre, subiva ogni forma di ricatto da parte dei cugini. La madre adora
questa figlia ribelle. La capisce, anche se lei non ha avuto la forza e la determinazione
di ribellarsi, prima dal marito e poi da suo cugino e i suoi figli.
E per
questo comprende la figlia, e nello stesso tempo ha fatto di tutto portarla
fuori da quell’ambiente, ed è stata la fortuna di Mira.
Nonostante
l’agiatezza in casa, il padre, prima che fosse am-mazzato dai suoi pari, era
riuscito cumulare diverse proprietà abusive e no. Lei, per principio, non vuole
che la madre paghi con il ricavato della gestione dei fitti, le spese per il
suo mantenimento a scuola, ripete sempre: basta un tetto sulla testa e qualcosa
nella pancia. La camorra non ha nulla da spartire con l’istruzione.
Ha sempre
detto: dovessi ereditare, darei tutto in beneficenza. La madre, inizialmente
pensava fosse solo una bambinata, con gli anni ha dovuto ricredersi.
“Signor
Gustavo è inutile che me lo ripeta, lei lo sa, finché c’è da lavorare io non
vado a casa.”
“Benedetta
ragazza, questa sera, fuori ad aspettarti, non c’è tua madre con la macchina,
sono le due di notte e tu sai le persone che circolano a quest’ora, non tutte
sono perbene, e non hai bisogno che te lo dica io. Te lo chiedo per favore,
altrimenti mi costringi chiudere prima di finire le pulizie-”
“Sarà
bene che mi avvio prima che lei cominci a piangere, non è bello assistere allo
spettacolo di un settantenne che frigna come un ragazzino, ciao Antonio a
domani.”
Il saluto va all’indaffarato aiutante
pizzaiolo di Gustavo. Mentre lui si lamenta dell’ironia della ragazza.
“Eh, va
bè sfotti pure, come se non avessi ragione, già dovrò sopportare la sfuriata di
tua madre, perché ti mando a casa così tardi, ora devo pure pregare perché arrivi
incolumi da tua madre, e tu, hai la faccia tosta di sfottermi.”
“Non te
la prendere zio, scherzavo, tu lo sa che ti voglio bene, vero zio? Ti chiedo scusa
vabbè? Di nuovo buonanotte.”
Non è
suo zio, ma è come se lo fosse. La vista nascere, lui era amico d’infanzia del
padre, ma non ha fatto lo stesso percorso di vita. È da quando aveva dieci anni
che lavora, portava le spese del salumaio su per i clienti, poi per il
macellaio. Ha fatto di tutto prima da approdare come garzone di pizzeria.
Cominciò
a portare le pizze a domicilio. L’odore, il profumo delle pizze appena sfornate
con il tempo ha finito far parte del suo DNA. Non poteva che fare il pizzaiolo.
Ora
guarda Mira montare sul motorino avviarsi verso casa. La sua più che paura, è
premura, perché sa che nessuno si permetterebbe d’infastidire o fare un torto
alla figlia, del fu Samuele Cascella, detto:
Sam, spara - spara, per la velocità nel maneggiare la pistola, e con quella
ammazzare i nemici del suo clan. Anche se lui ora non c’è più, ci sono i
nipoti, i figli di Peppe o’pazz:
brutte bestie quelle.
Nonostante
lei non abbia nulla a che fare con loro. Purtroppo il suo nome è un marchio di
fabbrica, del terrore però. Intanto la ragazza è scomparsa dalla visione di
Gustavo e lui sprona l’aiutante a sbrigarsi.
“Andò,
t’muovi a si’ono, ca' si fa juorno, mentre io faccio l’impasto di crescita per
domani, tu finisci di pulire che dopo si va a letto, altrimént nun c'facim nimmanc un’or e'suonno, me’capit Andò?”
Da
Antonio, l’aiutante, arriva solo un mugolio di consenso come segno d’aver
capito. Nel frattempo Mira con il suo motorino s’inerpica su per i Pisani
strada che porta a Pianura. Periferia della cittadina coacervo di abitazioni
abusive che hanno reso economicamente benestanti molte famiglie, camorristi e
consenzienti.
Mentre il
piccolo motorino di Mira continua per la salita, sente alle spalle sopraggiunge
il rombo di una motocicletta di grossa cilindrata. Lei rallenta accostando per
farla passare. La moto non appena arriva alla sua altezza si mette di traverso davanti
al motorino costringendo Mira a fermarsi.
“Scendi,
e dammi anche il telefonino insieme al motorino.”
A
minacciarla è un brutto ceffo poco più grande di lei.
La
ragazza freme dalla rabbia, non ha paura, anche se il losco figuro a un
coltello in mano.
Pensa,
invece, che dovrà fare altri sacrifici per ricomprarsi motorino e telefonino.
Guarda il giovane non riconoscendolo uno della zona. Mentre sta per dargli il
telefonino, i fari di un’auto illuminano la scena a giorno. Anche l’auto che arriva
si ferma a due metri da loro, in modo da tenere bene illuminato la strada con
gli attori in questione. Dall’auto scende un giovane alto e robusto, sui trentanni, nella mano ha una grossa mazza da baseball che può intimorire chiunque.
“Signorina
c’è qualche problema, qualcosa non va?”
L’eroe
della notte
Prima
che Mira possa rispondere, non per chiedere aiuto, ma per non fare subire violenze
a una persona per il solo fatto di essere gentile: è il rapinatore a rispondere
al giovane.
“A te
manca qualcosa? Perché non te ne vai per i fatti tuoi? Bello! Accetta il mio
consiglio se vuoi tornare a casa sano e tutto intero, vattenn subito, hai
capito?”
Il
giovane sembra per niente intimorito dalle minacce del giovane delinquente,
anche se questo ha tra le mani un lungo affilato coltello a serramanico.
“Tu non
ci crederai, ma la questione ora è diventata un fatto anche mio, ti consiglio
di rinfoderare il coltello, perché, come fai una mossa, ti apro la testa come
un cocomero, questo vale alche per il tuo amico sulla motocicletta. Capisco
però, che stai per perdere un affare, e questo sicuramente può dispiacerti. Qua
ci sono cinquantamila lire, quelli che avresti ricavato vendendo il motorino,
prendile e chi se visto se visto. Ti piace la proposta? Ci guadagniamo in
salute tutti e quattro.”
I
secondi che passano, sembrano eterni per tutti e quattro. Poi dal compare sulla
motocicletta parte un ordine secco.
“Giuvà muoviti, pigliati e cinquantamila
di questo stronzo e andiamocene ca se fatto tardi.”
L’avviso
del compare viene perché, nel frattempo, sulla scena sta per sopraggiungere un’altra
auto dal lato opposto. Il gaglioffo ne approfitta per stappato dalle mani del
giovane le cinquantamila, monta dietro l’amico che nel frattempo è già partito
sgommando. Nello stesso tempo il giovane soccorritore pone a Mirian una sfilza
di domante.
“Ti
manca niente? Tutto a posto? Dove abiti?”
Nel
chiedere, sposta la sua auto per fare passare l’altra, che nel frattempo era
arrivata nei pressi. Senza scendere dall’auto il giovane abbassa il finestrino
per dirgli.
“Vai
avanti che io vengo dietro fino che non sei arrivata a casa tua.”
Mirian
finalmente apre bocca. È accaduto tutto così in fretta, non avuto il tempo di
metabolizzare l’accaduto.
“No
grazie, non c’è bisogno mi accompagni, sono quasi arrivata, piuttosto se vuoi
riavere le tua cinquantamila, che non ho con me ora, domani potrai venire alla
pizzeria di Gustavo, quella che si trova giù Via Pietra Bianca, ti restituirò
il maltolto da quei due farabutti.”
Lei a
casa li ha i soldi, ma in questo caso dovrà dar conto alla madre quello che
successo, ed è proprio quello che lei non deve sapere in nessun modo, pena: non
la manderebbe più a lavorare da Gustavo.
“Ok, non
preoccuparti per i soldi, quanto torno a passare da queste parti me li
restituirai, ciao.”
Lei guarda
partire l’auto rimanendo sovrappensiero sul posto. Non tutto è perduto se un
giovane rischia la vita per difendere una sconosciuta, è quello che pensa
Mirian, allora non sono la sola ribellarmi dai soprusi di questi delinquenti,
meno male!
Mentre
parte, i fari dell’auto visti prima in arrivo nell’altro senso di marcia, la illumina
a giorno, arrivata alla sua altezza, l’auto si ferma, dal finestrino appena abbassato
una voce allarmata di donna, si rivolge a lei, è sua madre.
“Mira! Che
cosa è successo, perché sei ferma, che voleva quello da te?”
Indicando
l’auto del giovane eroe che si allontanava nel buio della notte.
La poverina,
vedendo la figlia tardare è accorso preoccupata, anche se febbricitante. Era
questo il motivo per cui non era fuori la pizzeria ad aspettarla all’ora solita
di chiusura.
Nonostante la figlia avesse insistito perché
lei rimanesse a casa, non reputava necessario che la madre le facesse da scorta
ogni sera. Le mamme, spesso non sono coerenti, nel consigliare i figli,
vogliono che questi diano ascolto alle loro premure, allo stesso tempo fingono di
non capire, quelli che i figli dispensano a loro. Qualcuno le definisce:
preoccupazioni materne, i giovani invece, apprensioni genitoriali. Invertito il
presupposto, il concetto non cambia.
“Niente
di che, Mamma! Mi ha chiesto un indirizzo. Ti avevo pregato di non alzarti dal
letto.”
Così
dicendo la ragazza mette in moto e dirige il motorino verso casa, senza aspettare
che la madre borbotti le solite lamentele, per questa notte ne ha già sentite,
e di troppo.
La
povera donna si preoccupa con giusta ragione, Mira è tutto quello rimasto della
sua famiglia.
Dieci anni prima, concorrenti del marito, tesero
un’imbosca-ta ammazzando lui, e quell’anima innocente del figlio, il ragazzo aveva
appena dieci anni. Sfortuna volle, il fattaccio avvenne di domenica,
diversamente il figlio dovendo adempiere ai dovere scolastici, non si sarebbe
trovato assieme al padre. A nulla valsero l’insistere della madre nel chiedere
al ragazzo di restare a casa, lui caparbiamente volle seguire il padre. Lei
conosceva i rischi che correva il figlio, sapendo cosa facesse, è qual era
l’ambiente, e chi erano i contendenti del marito.
Quando
vide l’auto dei carabinieri fuori il cancello della villa, e dall’auto scendere
una donna in borghese assieme ai militi, capì subito di cosa si trattasse.
A pensar
male, si disse, lei non pianse il marito prepotente, manesco, morto per mano
dei suoi simili. Per il figlio invece, non bastarono lacrime.
Con la
perdita del consorte, cosa che lei da anni sapeva che alla fine poteva accadere.
La conclusione della vita di uomini, come il marito, o è l’ergastolano o la
morte. Per chiudere del tutto con il passato, decise di porre fine con i
rapporti con la famiglia di suo cugino, compare in affari di suo marito. Piano
- piano troncò i contatti settimanali. La domenica immancabilmente la richiesta
di pranzare insieme, era più di un invito, finché era vivo il marito,
all’invito del cugino non era possibile rifiutare, tutti a casa del boss, perché
lui per simili quisquilie non si spostava, lui sapeva quanto fosse pericoloso e
rischioso farsi veder in giro.
Dopo la
morte del marito, nonostante questi insistessero invitarla da loro la domenica,
lei rifiutava trovando scuse possibili di ogni tipo, alla fine dopo molti
tentativi andati a vuoto, loro si
convinsero era inutile invitarle ancora. Lei, sospirando un “finalmente” chiuse
la pratica dei parenti indesiderati!
Per
Mirian fu una liberazione perché oltre a subire ostracismo, da parte del
genitore, perché lei aveva usurpato il posto a un ipotetico altro figlio
maschio, doveva tener testa alla prepotenza del fratello, lui aveva dalla sua
l’appoggio paterno. Come si sa, nei clan camorristici vige la consuetudine, che
a comandare siano solo gli uomini della famiglia. Lei cercava difendersi come
poteva dalla prepotenza del fratello.
Era la
madre a lottare non poco con i due maschi per salvaguardare l’incolumità della
figlia.
Come se
non bastassero i soprusi subiti in casa, la domenica si aggiungeva quello dei
cugini.
Da
bambina fino a sei anni i maschietti nel giocare gli mettevano le mani nelle
mutandine, per cui la domenica quando si andava a pranzo dagli zii, cosa che succedevano
periodicamente, anche perché loro, i grandi, dovevano parlare d’affari. La
piccola Mirian, e così che la chiamavano i “cari”parenti, si rincantucciava tra
le gambe della madre. Spesso i cugini la strattonavano per costringerla a
giocare, lei si attaccava alle vesti della madre piangendo, è così che rimaneva
fino a che, la donna, non cacciava i ragazzi. Così rimaneva fino a quando non
lasciava la casa degli zii.
Con la
perdita del genitore, e fratello, inizialmente provò disagio, nonostante tutte
le prevaricazioni che subiva, non poteva non sentirne la mancanza. Aveva perso
anche il supporto del fratello a scuola. Nessuno osava toccarla un po’ per la
reazione del fratello, un po’ per il suo nome.
Nelle
terre di mafia, camorra e ndrangheta, anche le pietre conoscono e temono le
famiglie malavitose, se non paventi, evitarla è il minimo che puoi fare,
tenerle alla larga oltre essere un salvaguardia alla tua sicurezza, è il male
minore.
La
ragazza non poteva evitare i cugini a scuola, lì purtroppo, non era riuscita a
liberarsi di loro.
Per
questo motivo, finito le elementari, la madre pensò bene mettere più distanza
con la famiglia del cugino, trasferendosi in una villetta più piccola alla
periferia nord di Pozzuoli nei pressi del lago D’Averno, dove il mare era a
poche centinaia di metri, fu la salvezza per la ragazza.
Per
fortuna loro, ad abitare nella villa accanto, arrivò una coppia di giovani
professori dell'istituto Virgilio di Pozzuoli. Bastò poco fare amicizia, cosa
che succede spesso quando si abita lontani dall’agglomerato cittadino.
La professoressa Giusi Largo e il marito Carlo
dovendo fare lo stesso percosso per andare al lavoro si fecero carico portare
anche Mira con loro.
L’alunna e la professoressa oggi sono amiche,
lì divide poco più di dodici anni, comprensibile il loro affiatamento.
Con l’arrivo
della bambina di Giusy, Mira ha trovato come trastullarsi con la sua “bambolina”
è così che chiama la bambina di Giusi. L’amicizia con la coppia è stata
fondamentale per Mirian. La libreria ben fornita di libri della professoressa,
diete alla ragazza, l’imprimitura a leggere, comportarsi, atteggiarsi, come si dovrebbe
per una signorina.
Conobbe il
teatro, i musei, i pic-nic nelle gite in luoghi diversi. Un’estate la coppia
volle che andasse con loro a Ischia per una vacanza di quindici giorni. La
madre a malincuore accettò sapendo quanto bene, quelle vacanze, avrebbe fatto
alla figlia.
Anche se
dispiaceva staccarsi dal lei, prima di allora non era mai successo, le vacanze
erano state solo chimere, né al mare né in montagna. Mira aveva quasi sedici
anni, al ritorno la madre quasi non la riconobbe, oltre all’abbronzatura aveva
gli occhi lucidi di felicità, era diventata donna a tutti gli effetti in
quindici giorni, sprizzava gioia e felicità.
A scuola
non era più ai margini, i ragazzi gli ronzavano intorno come api, perché Mira
era un fiore! Si sentiva libera finalmente e i
l lavoro
le dava libertà di scelta, fino a quella notte che incappò nel primo incidente
di percorso.
I
successivi inconvenienti, determinarono la decisione da parte della madre, vietarle
di lavorare. Mira, con sommo dispiacere, dovette convenire con la risoluzione presa
dalla madre. Anche perché la donna per
non prevaricarla, disse che la spesa del suo mantenimento agli studi lei glielo
avrebbe restituito non appena avesse preso impiego dopo laureatosi, insomma era
un prestito. Questo succedeva nell’anno domini 2000.
L’eroe
nero
Mercoledì 30 aprile 2013 ore 11. Lungo il
corridoio, secondo piano del Tribunale di Napoli un piccolo plotone di persone,
composto: da un colonnello dei carabinieri, dietro, due graduati in mezzo un
giovane detenuto ammanettato, chiude la fila, alle spalle del drappello, un
giovane brigadiere, sono in marcia verso l’aula dell’udienza. Mentre il piccolo
plotone si dirige alla 7ma sez. Penale. Presieduta dal giudice Massimo Pelosa,
una giovane donna s’incrocia con la piccola squadra, si ferma, ha notato
qualcosa, ritorna sui suoi passi e si accoda anche lei al gruppo, che nel
frattempo si è fermato. Il colonnello bussa, prima di aprire la porta, ed entrare
nella 7ma.
Nel
frattempo la giovane donna incrocia lo sguardo del detenuto giratosi a
curiosare, ha un soprassalto mentre il viso s’imporpora di rossore d’emozione,
non si era sbagliato quel viso gli ricorda qualcuno.
Il
manipolo di militi e il detenuto, prendono posto loro assegnati nell’aula,
mentre la giovane li segue con lo sguardo. Riavutasi dalla sorpresa, si mette
sulla loro scia, entrando pure lei nell’aula. La sua attenzione e tutta per il
detenuto, un giovane uomo sui quarant’anni, che guarda tutt’intorno con fare di
supponenza. Mentre era intenta a guardare il prigioniero, non si è accorta del
collega che occupa il posto sullo scranno della difesa. La giovane si precipita
al suo fianco disinteressandosi momentaneamente del detenuto. Si avvia un
piccolo concitato confabulare tra i due, interrotto dall’avviso del cancelliere
dell’entrata in aula del giudice. Dopo che tutti i convenuti s’insediano nei
posti di competenza, la voce del cancelliere che legge i nomi degli attori per
accertarsi siano tutti presenti, una volta avuta conferma chiude la cartella.
Non
resta che aspettare l’iter burocratico dopo l’entrata in aula del giudice con
il seguito della corte. Nella gabbia dei detenuti il giovane uomo che risponde
al nome di Jean-Jesus Jarden, guarda con indifferenza e con fare annoiato
l’estensore dell’atto d’accusa contro di lui, ascolta come se il PM stesse
leggendo qualcosa che non gli riguarda. Non si è accorto, d’avere su di sé, lo
sguardo un po’ attonito della giovane donna, seduta a fianco del difensore
d’ufficio. La quale donna non è altro che l’avvocata Mirian Cascella. Mira, ha
riconosciuto il detenuto nel suo misterioso salvatore di quella notte di tredici
anni fa.
Rivederlo
ora dopo tanti anni nelle vesti di detenuto accusato tentato omicidio di un
servitore dello Stato, gli fa un certo effetto. Ha tutti i motivi a essere
meravigliata.
Quasi
rifiuta crederci, almeno gli riesce difficile pensare che il paladino contro
l’ingiusto, come dimostrò quella notte, potesse essere, o diventare, un vile
delinquente.
Mira
attraversava il corridoio del tribunale dirigendosi in direzione della
cancelleria per mettere a ruolo un’opposizione, quando ha incontrato la
pattuglia dei carabinieri di scorta al detenuto, mentre andavano verso l’aula,
dove si sarebbe tenuta l’udienza.
Il primo
impatto è stato di dubbio, forse mi sbaglio, si era detta, riavutosi, è tornata
indietro per accertarsi se quello che pensava non fosse solo un dubbio.
Dopo
aver chiesto al collega il permesso di sedergli accanto, guarda la scena
riflettendo, non ha ancora metabolizzato la meraviglia. Sì, la giovane che
serviva panini e focacce ai tavoli della pizzeria di Gustavo, ora è un avvocato
di diritto penale facendo parte dell’associazione anticamorra “Per una nuova
stagione”, che non è una pizza.
Si batte
come ha sempre fatto per la difesa dei più deboli, cittadini vessati dalla
camorra, e come spesso accade, anche dallo Stato Italiano.
Per
ironia, e senza volerlo, era stato proprio lui a dargli l’ultimo stimolo quella
notte, quello giusto che già albeggiava in lei, cioè battersi per la legalità.
Non
capiva come un eroe, così finora lei pensava fosse, potesse diventare un
qualsiasi delinquente.
Non
riusciva a capacitarsi, forse sarà un errore, forse sarà un’omonimia, uno
scambio di persona, un vizio di forma.
Voleva
per forza trovare una causa, una svista. Intanto chiede al collega che gentilmente
gli ha concesso il posto.
“Mario,
permetti che dia uno sguardo alla motivazione del capo d’accusa, perdona la mia
curiosità, io quel signore forse lo conosco. Se non ero anni fa, mi ha aiutato
in una situazione di pericolo, vederlo con le manette ai polsi, non può che
farmi dispiacere. Mi addolora sinceramente, se quello che pensavo, di lui, non
fosse vero. Forse perché mai avrei immaginato d’incontrarlo, dopo tanti anni,
in una simile circostanza.
Mario in povere parole, in ricordo di quello
che lui fece per me, ho il dovere morale fare io qualcosa per lui ora.”
“Mira,
non ho nessuna difficoltà farti leggere l’atto ma non credo ci sia molto da
capire. Però trovo strano quello che mi dici, il detenuto è un cittadino
francese con doppio passaporto. Sotto quale veste lo hai conosciuto? Per quando
il caso, per dirtela tutta il giudice Peloso un’ora fa, finito la mia causa, mi
ha pregato di rimanere per fare l’avvocato d’ufficio a un detenuto appena
arrestato. Nell’attesa che lui, e i carabinieri, arrivassero, io e il giudice
abbiamo avuto giusto il tempo di prendere un caffè, beninteso io al Bar lui nel
suo ufficio, prima di rientrare in aula.
Ho dato
uno sguardo al verbale di fermo, stilato, a mio parere, poco corretto oltre a
essere illeggibile, chi l’ha scritto aveva fretta. Perciò, credo rimarrà in
cella poche ore, ma questo avverrà quando sarà. Per ora mi rimane chiedere un
rinvio. Ho ancora da leggere l’atto e conferire con il mio assistito”
Hanno appena
finito di parlare che il giudice picchia sulla cattedra per avere l’attenzione
dei presenti. Immediatamente finisce il brusio nell’aula.
Il
giudice come primo atto sfoglia quello del detenuto, che poi non è altro quello
messo su dal PM all’ultimo minuto sugli atti già esistenti. Il giudice dopo
aver letto le generalità all’imputato, chiede se sono le sue, avuto l’assenso,
demanda al cancelliere di leggergli i capi d’accusa al qui presente Jean Jesus Jarden.
Questi,
con voce monotona e sequenziale, gli elenca i reati commessi e di cui è accusato:
porto armi da fuoco abusivo, tentato omicidio. Il giudice prende la parola per
chiedere al detenuto, come si pone nel confronto di quest’accusa, colpevole o
innocente.
Il detenuto sembra non aver udito, continua a
guardare l’aula, per un attimo Mirian incrocia il suo sguardo per la seconda
volta, ha la sensazione come si fosse soffermato a guardare lei, forse lo
immagina solamente.
Con
stupore dei presenti il detenuto, dopo essersi alzato in piedi, dichiara che
lui si avvale della facoltà di non rispondere. Il giudice guarda il difensore
come volergli dire: che facciamo avvocato! Lui, l’avvocato, si avvicina allo
scranno del giudice per interloquire.
“Giudice,
con il suo permesso, vorrei avere colloquiare con il mio assistito, finora non
ho avuto modo né tempo per istruire e conoscere sia la pratica sia il mio
cliente, “lei mi capisce.”
“Certo che la capisco avvocato, bastano tre
minuti? Dovreb- bero essere sufficienti, non le pare avvocato?”
Trascorsi
cinque minuti, l’avvocato torna leggermente inner-vosito, sbatte la pratica sul
tavolo mormorando udibile solo da Mirian che ha davanti.
“Tu vedi
questa mattina che bel regalo che mi ha fatto il giudice Peloso.”
Poi rivolto al giudice.
“Signor
Giudice il mio cliente si avvale della facoltà di non rispondere per cui chiedo
un rinvio per avere altro tempo per studiare gli atti e per interloquire con il
mio cliente in un clima più sereno.”
“Bene,
l’udienza è rinviata….. vediamo un po’….ah ecco, al venti maggio 2013. Per oggi
non c’è altro, l’udienza è tolta.”
“Mario
che succede, mi sbaglio o quest’aula è stata aperta per permettere al giudice
Peloso di sentenziare quest’unica causa. Non mi sembra normale il decorso.”
“No, non
ti sbagli, come già accennato, il giudice Peloso mi ha pregato formalmente,
assistere il detenuto. Ora questo stronzo mi comunica che lui non ha bisogno
dell’avvocato e che non ha nulla da dire, anche se gli ho rilevato che avrei potuto
farlo uscire da questa grana in poco tempo.”
I dubbi
di Mirian aumentano nel sentire il collega.
“Questo,
a quando sembra, doveva essere un processo per direttissima, e il giudice ha
dato il rinvio senza pensarci due volte. Non ti sembra un po’ strano tutto
questo? Ti dispiace se faccio da assistente mentre conferisci con Pelosi?”
“Mira,
se t’interessa tanto il caso lo cedo volentieri, andiamo dal giudice e glielo
comunichiamo, non credo che lui abbia nulla in contrario, forse gli sei anche
più simpatico, anzi asserisco, sicuramente apprezzerà avere davanti una bella
ragazza che uno scarrafone come il
sottoscritto. Oltretutto mi fai un favore, quello già mi ha rifiutato come suo
avvocato, non credo che tu avrai sorte migliore, comunque è tutto tuo, sempreché
il giudice accetti il cambio, in bocca al lupo Mira.”
“Grazie
Mario, a buon rendere.”
Mentre
il giudice, da uno sguardo di lettura all’atto in questione, Mira fa lo stesso
con la copia che il cancelliere aveva messo a disposizione della difesa. Per
quello che trova scritto, non può che dar ragione al collega. Ci sono tutti i
presupposti per l’annullamento della procedura in atto.
Come immaginava
il bravo collega di Mira, il giudice non ha nulla in contrario di accettare
come difensore d’ufficio la volenterosa Mirian Cascella paladina degli oppressi.
Ha tenuto
a precisare con Mira, che il detenuto non ha nulla a che fare con gli oppressi,
essendo lui la causa di questi.
Questo è
quello che pensa il giudice Peloso dello Jarden accusato d’importare armi e droga,
è stato colto in flagrante durante un’operazione delle forze dell’ordine. Nella
colluttazione ha tentato di uccidere il colonnello dei carabinieri.
Ancora
ora che sta per avere un colloquio con il detenuto non sa perché ha voluto per
forza il caso, il suo atteggiamento nulla a che fare con la riconoscenza verso
lui, gli interessa poco difendere uno spacciatore e tantomeno un importatore di
armi e droga. A naso intuiva che qualcosa che non quadrava nell’arresto dello
Jarden. Aveva chiesto il colloquio dopo essersi accertato che il detenuto non
aveva dato mandato a un avvocato di fiducia. Seduta, nella spoglia sala adibita
a parlatorio del carcere di Poggioreale, aspetta che arrivi il detenuto. Il
quale come la vede dimostra tutta la sua meraviglia. Per finire non crede in
nessun modo che lui sia francese.
“Tu chi
sei? Non aspettavo visite del gentil sesso, vedendoti in tribunale ho pensato:
ecco la solita donna curiosa.”
È il
primo contatto verbale, ed è la seconda volta che sente quel tono di voce, ed è
sicura, che l'accento non è quello della fatidica notte della rapina. Quella fatidica
notte il suo accento era italiano al cento per cento.
Senza
pensarci troppo, tira dalla borsetta cinquanta euro li poggia sul tavolo tra
lei è il suo assistito, almeno per ora.
“Sono,
per ora, il suo avvocato d’ufficio, e anche una sua debitrice di cinquantamila
lire che con il cambio fanno suppergiù cinquanta euro, che lei gentilmente pagò
a dei rapinatori per mio conto tredici anni fa, e non mi dica che non è lei perché
la ricordo benissimo, non capita tutti i giorni che un bell’uomo ti aiuta in
una situazione incresciosa, rischiando di suo e rimettendoci pure!”
Jean Jesus
fissa la banconota, questa volta è lui a essere sor- preso, il viso si allarga
a un sorriso di compiacimento. Come poteva restare indifferente davanti a
quella verità.
Ora i
due si guardano apertamente negli occhi come volessero trovare un’intesa, anche
a Mira spunta un leggero sorriso. Perché pensa, forse se lo augura, di non
essersi sbagliata sul suo conto, è quello che spera.
“È proprio
vero che non bisogna mai stupirsi della realtà, perché spesso va oltre ogni
fantasia. Cosicché la piccola pizzaiola è diventata un avvocato. Mi fa molto
piacere per te, devi scusarmi se non venni a riscuotere il prestito alla pizzeria,
non mi fu possibile per impegni più imbellenti. Non mi dirai che per questo hai
assunto la mia difesa, per restituire il debito?”
“Non
solo, diciamo che c’è anche dell’interesse professionale. Vorrei che in prima
persona, mi delucidassi ciò che accaduto perché dall’atto e come sei stato
arrestato, non è molto convincente. Tutta la storia fa acqua da tutte le parti,
perfino la modalità dell’arresto e il rinvio dell’udienza, e per finire, perché
sei sotto mentite spoglie ”.
“ Questo,
credo, è tutto scritto nell’atto d’accusa e nel verbale dei carabinieri. Nulla
aggiungo e nulla tolgo. Ti consiglio di non perdere altro prezioso del tuo
tempo dietro questa causa, non ho bisogno di nessun avvocato, senza essere
scortese s’indente. Per quando riguarda i cinquanta euro, qui dentro non saprei
che farmene, vuol dire che estinguerai il tuo debito un altro giorno e in un’altra
occasione, se ci sarà.”
“Non
credere di trattare con la ragazzina della pizzeria, non so chi sei, né cosa
sei. Il mio fiuto mi dice che tu non sei quello che vuoi apparire. Ho letto
l’atto d’imputazione e pieno di lagune giuridiche, posso farti uscire a breve
senza perdere altro tempo, per cui essendo il tuo avvocato, volendo o dolente,
ho mi spiattelli la verità o agisco d’ufficio: cosa preferisci.”
Jean-Jesus
ha sempre gli occhi fissi in quelli di Mira, se spera che sia lei ad abbassarli
si sbaglia di grosso, non conosce il carattere della ormai donna e avvocato. Ha
ragione lei a dirgli che non è più la ragazzina della pizzeria.
“È dire
che non so nemmeno come ti chiami, buffo no?”
“Mi
chiamo Mirian Cascella, scusa se non mi sono presentata, se avremo rapporti di
lavoro, puoi chiamarmi Mira, se no, amici come prima.”
“Se me
lo congedi, vuol dire che siamo diventati amici.”
“Io
direi vecchi amici, se vogliamo tener conto degli anni che sono trascorsi.”
“Mira,
perché non ti siedi e parliamo un po’.”
Sola ora
che lui lo fa rilevare si è accorta che mentre lui si era seduto comodamente
lei era ancora in piedi.
“Allora,
cosa hai da dirmi, in tua difesa.”
“Bada
che ho invitato l’amica a sedersi, non l’avvocato. Voglio spiegarti perché
presi la tua difesa quella notte, è perché ci rimisi le cinquantamila lire
invece di prendere a bastonate i due piccoli delinquenti. Conosco quei tipi,
eri una ragazzina indifesa avrebbero potuto anche abusare di te, dopo averti derubato,
non ho infierito su di loro per paura di coinvolgerti nella rissa, potevano
essere armati, non solo di coltelli.
Non sono
un paladino della brava gente come tu credi, ho reagito per istinto da giovane
spavaldo e incosciente, diciamo per farmi bello ai tuoi occhi.”
Mira
continua a guardarlo sempre più convinta, che lui non sta asserendogli la
verità, non capisce perché lo fa, ma è sicuro che Jean-Jesus gli sta mentendo. È
una sensazione non solo di pelle, oltre a leggergli negli occhi quello sguardo
nulla a che fare quello che lui vuole intendere. Oppure è tanto bravo da
nascondersi dietro? Lei conosce quei gaglioffi bastardi, avendo vissuto in quell’ambiente,
sa come guardano il loro interlocutore. È tutto una valutazione, cliente,
nemico, spia, è questo, quello che passa nella mente di un delinquente.
“Senti amico, non lo so perché lo fai, devi
avere i tuoi buoni motivi, non sei uno stupido, e non sei nemmeno quello che
vorresti farmi intendere, né io sono stupida come tu intendi, teniamoci le nostre convinzioni, se hai
bisogno dei miei servizi, come avvocato, qui c’è il mio numero di telefono, non
abbiamo null’altro da dirci, ti saluto.”
“Mi
dispiace per il tuo rammarico, vorrei che ci lasciassimo da buoni amici.”
“I miei amici, non hanno nulla a che fare con
loschi affari. Convincimi diversamente, altrimenti, a questo punto, ripeto, non
abbiamo null’altro da dirci. Se dovessi cambiare idea, qua c’è il mio biglietto
da visita.”
Aggiunge
al biglietto da visita sui cinquanta euro, che ancora sono sul tavolo, si alza
e ancheggiando si avvia a uscire, facendo segno alla guardia di aver posto fine
all’incontro con il suo cliente.
Il detenuto
la guarda andar via, il suo viso ha perso quell’aria un po’ canzonatoria, ora
riflette un sorriso amaro.
Questa è
una delle tante volte per cui si chiede se la sua vita ha un senso, al di fuori
di quello che fa.
Vedendo
quella bella donna andare, si sente come se lei portasse via con sé, un pezzo
della sua vita.
Del
resto non può rammaricarsi molto se è quella la vita che ha scelto di fare. Ma poi?
L’ha davvero scelto lui questa vita?
Alla
fine con un’alzata di spalle, come volesse dire: Jesus perché ti poni, ora, tutte queste domande? Alzandosi
dalla sedia fa segno al secondino di essere pronto al ritorno in cella. Lì nel
buio della solitudine, ha tutto il tempo per dare risposte alle sue
interrogazioni, ai suoi dubbi.
Le parole più sacre per il genere
umano, sono usurpate, dissacrate, per fini poco lodevoli! Una di queste è la
famiglia.
" La famiglia"
Giuseppe
Polveri, detto Pepp’o pazz, non perché è pazzo, agisce seguendo il suo istinto
animalesco senza troppo riflettere, fanno le spese tutti quelli che scorrono
nel suo alveo, comprese maglie e figli, sette per la precisione, cinque maschi
e due femmine, le quali, del gentil sesso hanno solo l’aspetto.
Il padre
padrone, come tutte le domeniche, è attorniato da tutta la “sacra” famiglia. Il rito si perpetua intorno alla tavola il cui principe, è
il menù: ragù di tracchie di maiale, e braciole di cotiche dello stesso, pasta
ziti, per secondo, salsiccia e friarielli, il tutto annaffiato con abbondante
vino rosso, il famoso per’e palumbo, prodotto nelle loro terre, sui
costoni dei Camaldoli, dove all'apice del monte il vecchio eremo dei monaci
Camaldolesi fa da faro alla comunità cristiana.
Come
tutte le domeniche, si tirano le somme degli affari di tutta una settimana, una
specie di rendiconto: chi ha dato, chi deve rendere, chi è in ritardo nel dare,
chi deve avere una lezione perché non ha dato, chi ha sbagliato, e chi merita. Come un capitano d’industria ascolta,
mugolando con il boccone di salsiccia in bocca con l’olio che gli sbrodola sul
mento. Dopo un bicchiere di vino, si concede dare la risposta al figlio che gli
stava comunicando le ultime notizie, per ultima quella dell’arresto del
francese Jean-Jesus Jarden.
“Cioè,
mi vuoi dire che noi non ci rimettiamo niente?”
Il
figlio Michele, il primogenito, chi ha l’autorizzazione a parlare per primo, ha
appena detto d’avere ricevuto la soffiata dal loro referente dalle carceri di
Poggioreale, il quale a mandato a dire, che della perdita se ne fa carico la
ditta.
“Precisamente,
papà.”
“E chi
è, stu’fess!”
“L’amico
francese e Tatonno o’Papaccio.”
“Miché,
ma tu sei sicuro che questo, è pulito?”
Per
tutta risposta il figlio Michele fa partire lo scodinzolio della testa come
consenso.
Il
sospetto nei delinquenti è salutare, è come guardarsi alle spalle, il timore
che qualcuno ti possa uccidere o arrestare è sempre presente, guai a
dimenticarselo.
"Papà,
ho parlato personalmente per telefono con zi’Taton- no, mi ha detto che
l’elemento è sicuro, lui ha già fatto più di un affare, andato in porto senza
problemi, con Jean-Jesus il marsigliese. Dobbiamo tirarlo fuori ora da
Poggi-Poggi (cioè Poggioreale), se vogliamo rifare di nuovo il carico, tanto
noi con quello sequestrato andiamo pari - pari come prima.”
“Allora
pensaci tu a chiamare il nostro avvocato e digli di muovere il culo, se vuole
guadagnarsi la pagnotta.”
“Papà,
c’è un altro problema.”
“Qual è quest’altra
rottura di coglioni!”
“Mira, è
la rottura di coglioni! Papà, tua nipote, ha fatto mettere dentro un nostro
bravo ragazzo.”
“E che
vuoi da me, è fesso lui, a farsi prendere con le mani nel sacco, quella fa il
suo mestiere, gli stronzi siete voi che vi fate beccare con il lardo addosso. Ti
ho detto un sacco di volta, a piccerella
non si tocca fino a quando camp’io, ci siamo capiti! Quant cazz’ e vote ta già
ripeter”
A lui
certamente non fa piacere che la nipote assottiglia il suo clan, ma è l’unica
figlia della cugina, e del suo compare morto
ammazzato insieme al figlio di dieci anni, quell’anima di Dio, per
onorare e difendere la famiglia. Tanto, uno più, uno meno, gli affari vanno
avanti lo stesso. I ragazzi in galera si fanno le ossa, per sostituirli non c’è
nessun problema.
Con la
disoccupazione in continuo aumento hai voglia di trovare giovani disposti a
guadagni facili.
Questa è
la filosofia di Giuseppe Polveri detto Peppe o’pazz, signore della camorra. La
perdita momentanea di un elemento non costa niente a lui. Nessuno toccherà la
nipote fino a quando lei non toccherà la famiglia o gli interessi di questa, il
resto è tutto accomodabile senza spesa.
Toccare
la famiglia significa indebolirla nei confronti degli avversari. Ledere il
patrimonio è come togliere forza contrattuale al clan, con i soldi si può
tutto, comprare giudici, politici, avvocati. La potenza di fuoco, è la
consistenza del potere del clan, killer professionistici e non, sono a loro
servizio per far rispettare le regole da loro imposte. Inoltre, e non è poca
cosa, mantenere tutta la manovalanza per le piccole facezie. Riscossioni del
pizzo, furti, soldi con interessi da usuraio, piazzare la merce rubata,
riciclare i soldi, pagare le famiglie con il marito finito in carcere ecc, ecc…
solo avendo molta disponibilità si può tenere in piedi la baracca.
Sono
tutte cose che un capo della camorra organizzata, come un imprenditore, non può
esimersi siano rispettate.
L’avvocato
Seduta dietro la sua scrivania Mira si rigira
fra le mani dei fogli, uno è la scheda richiesta al casellario giudiziale,
l’altro copia del verbale dei carabinieri in cui non si legge niente di
specifico tranne le generalità del personaggio. L’ultimo è la notifica del
tribunale nel quale comunica a occuparsi del caso Jean-Jesus Jarden è
l’avvocato Antonio Palumbo.
Mentre
legge l’uno e l’altro, continua a scodinzolare la testa come segno
d’incomprensione e di rabbia.
Lo
stronzo, alla fine, l’avvocato l'ha scelto: guarda un po’chi è? Lo stesso del
“caro” zio, allora è lei che ha preso una cantonata? Non è poi quello che lei
vorrebbe sia, cioè l’eroe della sua fanciullezza.
Forse
perché sperava fosse? Questi e altri Interrogativi circolavano in testa vertiginosamente.
Lei
quella notte di tredici anni fa aveva sperato che il paladino della sua storia
fosse quello che ogni ragazzina sogna. Bello, forte, e senza macchia.
La madre
non se l’era bevuta la storia che non era successo niente, bastarono i sospetti
a imporre, dopo poco tempo, il trasloco di lavoro. A Mira in quel poco tempo che
rimase, bastò per mandare in galere due delinquenti.
I due
bastardi chiesero il pizzo a Gustavo, al poverino non furono sufficienti i suoi
lamenti per cercare di mitigare l’esosa richiesta, volevano cinque milioni di
lire, forse la richiesta era per avere un ricordo della lira, perché a breve
sarebbe scomparsa dalla circolazione. Mira già aveva capito il perché della
visita dei due, li conosceva bene per averli visti facendo parte della cricca
dei “cari cugini, ” questo non
riusciva mandarlo giù, aveva la faccia tosta di chiedere il pizzo a Gustavo,
uno che ha lavorato per tutta una vita, senza mai lamentarsi di non aver colto
mai i frutti di un’esistenza agiata. Mai una vacanza, mai un weekend, sempre
instancabilmente a lavorare.
Gli bastò
telefonare all’anticamorra della questura comunicando loro, la sera del ritiro
del pizzo, e chi erano i due.
Quella
sera in pizzeria, insieme ai clienti a un tavolino vicino alla cassa, erano
seduti due nerboruti poliziotti, dall’aspetto sembravano due delinquenti, altri
quattro, dallo stesso aspetto, stavano appostato nei pressi della pizzeria.
All’ora fatidica si presentò all’incasso uno dei due malviventi, mentre
percepiva dalle mani di Gustavo la prebenda, i due poliziotti già erano al suo
fianco, nel frattempo il socio all’esterno, a cavallo di una moto, era arrivato
trafelato a dire al compare di sbrigarsi.
Fu bloccato anche lui, gli trovarono nel
cruscotto della moto una pistola con il numero di seria limato. Per quella sera
niente pizza/o. In questura Gustavo dettava le sue ragioni, per non denunciare
i due per estorsione, il commissario voleva denunciarlo per connivenza con la
camorra.
A risolvere
la questione ci pensò Mira. Al momento del suo interrogatorio disse che avrebbe
parlato solo con il questore, a nulla valsero le minacce dell’ispettore, alla
fine il poverino cedette alla caparbietà della ragazza, facendo materializzare
il questore. E lei dichiarò: Sono stata io a telefonarvi, se ve la prendete con
il signor Gustavo, farò sapere che sono io la colpevole a denunciarli, anche se
sono la nipote, di quel disgraziato di Peppe o’pazzo, state sicuro che non me
la faranno passare liscia, e sarete voi a tenermi sulla coscienza. Oltre al
fatto che mai più denuncerò altri soprusi, se mi capiterà l’occasione, sempre ché,
la passerò liscia con mio zio.”
Il
questore guardava la ragazza e sorrideva, stava pensando: tu guarda questa
figlia di una buona donna che capace di inventarsi, e ha anche ragione. Quel
pazzo dello zio è capace di tutto, non posso mettere a repentaglio la sua vita,
anche se dovessero torcerli un solo capello.
Gustavo
fu diffidato, i due finirono in galera, e Mira cambiò lavoro, finì a fare la
cassiera a mezza giornata in un piccolo supermercato. La madre impose: se
proprio vuoi lavorare, dove, come, e con chi, lo scelgo io.
La
povera donna non immaginava, non erano solo le strade buie, il rischio che
correva la figlia. Al supermercato fu testimone di una rapina a mano armata. Anche
questa volta, identificò il colpevole della rapina subita, essendo lei la cassiera
del supermercato. Quella volta Peppe o’ Pazz se la prese con i rapinatori che
erano andati a minacciare la nipote. Mentre gli amici del figlio finivano in
galera.
Le cose
si complicarono quando sotto le festività di Natale, si presentò uno dei suoi
“cari” cugini con un codazzo di suoi pari, a chiedere una sovvenzione per i
detenuti della famiglia in carcere. Un obolo che la camorra fa pagare a tutti i
commercianti della Campania, per sovvenzionare i detenuti e le loro famiglie,
beninteso si tratta di detenuti affiliati alla camorra. Una volta presentatosi
chiesero al gestore del supermercato la modica cifra di cinquemila euro, per
Natale e la stessa per Pasqua. La ragazza conosceva il motivo della visita del
“caro” cugino, vedendo il povero gestore preoccupato, pur sapendo che non
poteva mandare in galera il “caro” cugino, penso di risolvere la questione a
modo suo.
Anche se
a malincuore, telefonò allo zio, gli disse era stata convocata in questura perché
era giunta voce che nella zona qualcuno taglieggiava i commercianti, essendo
lei della zona, e sua nipote, dovevo inevitabilmente conoscere, anzi obbligata sapere
chi fossero questi “signori”.
Ora, se
la cricca, capeggiata dal cugino, si presenterà per la seconda volta per
incassare la prima trance di pagamento, sicuramente la polizia sarà avvertita,
da chi già la prima volta l’avvisata della presenza della banda, questa volta
non potrà dire di non conoscere chi erano i signori
venuti a incassare.
Nonostante
il discorso fatto allo zio, il cugino si presentò lo stesso il giorno che lui
aveva prefissato il pagamento, voleva dimostrare che lui non aveva paura di
nessuno.
Mira,
essendo della famiglia, gli fece capire che nemmeno lei aveva paura, prese il
parente da parte e gli confidò.
Ora,
ripeté al cugino, tutta questa brava gente che gira per il supermercato mi ha
visto parlare con te e i tuoi amici, cosa penserà chi a fatto la prima soffiata
alla polizia? Il minimo che io sono una vostra complice.
È dato
che io non ho nessuna colpa, né intento avere a che fare con la polizia per
colpa vostra, se sarò chiamato una seconda volta dai carabinieri non potrò dire
di non conoscerti. Inoltre, tuo padre sa che sei qui?
Con
questo gli fece capire che la responsabilità sarebbe caduta sulla sua testa, se
l’affare avrebbe preso una brutta piega. Inoltre non ha messo in conto la cosa
più grave, quella di aver disubbidito a un ordine del padre.
Il
cugino in quel momento avrebbe voluto strozzarla, si con-tenne sapendo che aveva
ragione, perdi più c’erano testimoni. Ancor più furbamente lei, accompagnandolo
in strada fuori dal supermercato, lo prese sottobraccia, per rendere più confidenziale,
e pubblico, il loro incontro.
Con
quest’ultimo atto, Mira terminò anche di lavorare al supermercato, la madre fu
categorica, non usò mezzi termini: se mi vuoi bene, non mi devi far vivere con
l’apprensione che ti possa succedere qualcosa.
Se
proprio non vuoi che io paghi i tuoi studi, vuol dire che i soldi te li presto,
quando guadagnerai con il tuo lavoro, lì restituirai, non ci sono repliche a queste
condizioni.
Il
questore aveva ragione quando ha pensato la qualità della madre. Qualcuno gli
avrebbe detto: un melo non genera pere, o viceversa.
Lei,
conoscendo la madre, sapeva che non avrebbe ma riscosso il suo debito, per cui
rifece la sua controproposta.
“A
questo punto non mi rimane che andare a lavorare da nonna Mira a Santa Lucia,
così imparo anche a cucinare, tu lo sai come cucina bene zia Assunta.”
E la
madre.
“E tu
pensi, che io ti faccia andare fino a Santa Lucia con il motorino? Levatell’ a’capa
figlia mia.”
La
ragazza, non essendo una stupida, dovette dare ragione alla madre. Però la
madre dovette giurare, si sarebbe presi i soldi che lei avrebbe speso per i
suoi studi.
A questo
punto pensò non indebitarsi troppo con la madre, non perse tempo a laurearsi. A ventuno anni laurea in diritto pubblico e
penale, a venticinque quella di scienze politiche. Mirian Cascella a venti otto
anni, ha messo a frutto l’intelligenza, la caparbietà, e la volontà di fare
quello che riteneva giusto. Non è un nonsenso obbiettare che le stesse qualità
che servono per chi fa le cose giuste, sono utili anche per chi delinque. Con
qualche differenza però.
Le
motivazioni possono essere agli antipoti, senza che questo denoti una deficienza
d’intelligenza.
È per
questo, che ora Mira legge e rilegge quei fogli, meravigliandosi dell’epilogo
della faccenda. Continua a ripetersi che non è convinta di quello ascritto, sia
sul verbale dei carabinieri, che su quello della procura. L’ultima nota stonata
è: perché lo Jarden non ha voluto che lo difendesse né io né Mario? Ha invece
scelto di farsi difendere dall’avvocato proposto dallo zio? Allora non devo più
meravigliarmi: se davvero Jean-Jesus Jarden, come ora si fa chiamare, è davvero
un poco di buono? Salomonicamente si assolve dicendo, tutti possiamo sbagliare
nel valutare una persona. Non può negare di stupirsi, le dispiace che la storia
del suo eroe finisca così.
Per mesi
dopo quella notte di tredici anni fa, ogni sera allungava il collo per vedere
se tra quelli che entravano in pizzeria ci fosse tra loro il suo salvatore.
Solo
dopo che cambiò lavoro, quasi si dimenticò di lui, non del tutto però. Ogni
tanto riaffiorava il ricordo di quella notte con la sua immagine che man mano
si sbiadiva. Averlo rivisto dopo tanti anni non poteva che darle emozione.
Non si
chiedeva cosa fosse e del perché, sentiva venirgli dal profondo un senso di
amarezza!
E da
persona ragionevole doveva trovare ed esigere una spiegazione. Con disappunto
rimette i fogli nella cartella scrivendoci su, di chi, e di cosa si tratta, poi
la rimette nello scaffale dietro alle sue spalle dove ogni cosa trova posto per
essere, all'occorrenza, tirata fuori.
Esegue scrupolosamente
il suo lavoro per non perdere tempo al momento di necessità la sua massima è: Se
le cose sono al loro posto, non si perde tempo cercarle.
Anche perché non avrà esigenza a breve
consultarle, sapendo quello che fa con quel signore non vorrà più averci a che
fare.
Almeno questo
è quello che pensa Mira al momento, per il futuro chissà se ci sarà necessità
tirarle fuori!
Appurato
che lei già sapeva una parte di verità su Jean-Jesus Jarden, o come cavolo si
chiama, quella lontana notte del mese d’aprile duemila, l’accento del giovanotto
nulla aveva a che fare con quello odierno del raffinato marsigliese, questo lo può
dare a bere ai poliziotti, allo zio, all’avvocato dello zio, ma non a lei! Ciò
non toglie che saperlo non cambia molto il suo coinvolgimento nella storia.
A meno
ché lei non denunci i suoi sospetti alle autorità. Qualcosa gli dice, che farlo
non sarebbe saggio. Ora non sa spiegarsi il motivo, ma a naso ha molti dubbi
sul comportamento delinquenziale di Jean Jesus. Gli dispiacerebbe non poco se
le sue esitazioni fossero infondate e potessero danneggiare o ingarbugliare
ulteriormente il caso.
Alla
fine decide di soprassedere, per ora, aspettando gli sviluppi successivi.
Perché immagina che la storia con Jean Jesus non finirà con lui in galera. Ora
non sa perché ha questa convinzione, ma il suo fiuto gli dice di non
sbagliarsi.
La
triade
Salvatore
Biancofiore detto “Totore cap’e fierr”
per la bravura con la quale apre porte e teste dei suoi nemici con una testata.
Il sodale Antonio Capuano; detto “Totonn
per’e puorc”, una bravura non eguale nell' usare il piede di porco per
scassinare tutte le porte che fossero necessarie per la ditta. E per ultimo non
solo per altezza Ciro Esposito; detto “o’ninnillo”
non perché fosse un bambino, perché era alto poco più di un metro e
cinquanta, e pesava poco più di cinquanta chili. Lui era utile, per non dire
necessario per fare da ultimo scalino della scala umana, per ficcarsi in ogni
pertugio o fessura. Chiamata triade,
oppure: i tre da' piazz, Mimì, Coco e Carmine o'pazz, perché dov'era uno loro, trovavi a qualche spanna, gli altri. Il pomeriggio all'imbrunire sbucavano
dalle loro tane, migliore aggettivo è difficile trovare per il luogo dove abitavano.
Il posto dell’incontro era sempre lo stesso, nella putrida saletta chiamata
arbitrariamente Circolo Ricreativo Maradona. Il suo arredo composto, da due biliardino, due macchinette mangiasoldi, due tavoli da gioco per le carte,
dieci sedie, otto per i giocatori e due per gli osservatori per il commento
alle spalle di questi.
La
triade rimaneva a giocare fino all'orario di lavoro, degli altri, perché il
loro, cominciavano dopo la mezzanotte, e oltre.
Un
connubio perfetto, una macchina da scasso e altro.
Non avevano una vera specializzazione. Il
connubio dei tre faceva sì che loro riuscivano dove gli altri si fermavano, il
motivo? Salvatore è un omone alto più di uno e novanta, Antonio, nella media, un
metro settantacinque, Ciro, come già detto, poco più di un metro e cinquanta. Questi
era la triade.
Messi
l’uno sull’altro formavano una scala umana,pronta a ogni evenienza, anche
arrivare ai primi piani alti di vecchi e nobili palazzi della vecchia Napoli. I
primi piani erano cosa facile, per i secondi era pronta una
giunta di uno scanno, uno degli attrezzi di servizio che avevano all'occorrenza . In povere parole non c’erano appartamenti che loro non potessero aprire come
si fa con una scatoletta di tonno, a strappo o a testate.
Fattosi
l’ora, i tre compari smettono di giocare a tressette percorrono pochi metri
s’infilano nella pizzeria adiacente al cosiddetto Circolo Maradona.
Il menù
è sempre uguale, una pizza ripiena salame e ricotta, mangiata in fretta e furia
in una specie di furgone, lamiere arrugginite su quattro ruote, ma alla bisogna
efficiente a trasportare ogni refurtiva.
Se
qualcuno pensa che il ladro rubi per arricchirsi sbaglia di grosso. Non c’è
povero più povero del ladro, non solo perché è povero d’animo. Mariolo non si
nasce ma si diventa, se addirittura non lo eredita. I nonni dei tre si divertivano,
si fa per dire, appena nel dopo guerra, facevano i bidonisti agli americani e
ai poveri sprovveduti venuti da fuori, appena sbarcati dalle navi nel porto di
Napoli. I genitori, sulla scia dei padri, appena finito il contrabbando di
sigarette e whisky americano, rubacchiavano quello che potevano. Per questo i
poveri cristi della triade, non erano loro a scegliere qual era il futuro. Volendo
o dolendo la strada era quella percorsa e lasciata in eredità dai padri, il
mestiere sempre quello: il ladro.
Inutile
illuderci, perché rubare è un mestiere come tanti altri, anche se spesso viene
camuffato in diversi modi. Corruzione,
aggiotaggio,
appropriazione indebita, mazzetta, ecc…ec……
Cambiato
il presupposto il fattore non cambia. Se tre generazioni di ladri non sono
state capaci di raggranellare quando bastava per metterne un po’ di soldi da
parte, che speranza hanno i loro figli, se non quella di seguire le loro orme? Quando
tutto gli va bene?
Qualcuno
dirà: il denaro rubato servirà a dare più potere ai ladri. Questa regola vale
per chi comanda, chi sta in testa alla piramide, cioè per i colletti bianchi, e
non per i nostri tre eroi e per la loro
specie. I derelitti nella scala dei valori della società. Per loro questa è
un’emerita sciocchezza, non è vero che si ruba facilmente, se fosse così, i
ladri sarebbero molto più di quelli in circolazione.
Quando
non sono in vacanza a carico della collettività, nelle prigioni di Stato.
Diciamo che non tutti i colpi vanno a segno, e
quelli che ci vanno non sempre rendono a sufficienza.
Bisogna
fare un’equazione, esempio: primo valore della refurtiva, un Rolex d’oro.
L’acquirente
ha pagato al gioielliere dieci, è tale quantifica la perdita, cioè la spesa che
lui ha sostenuto all’acquisto.
Il ladro
è bravo se ricaverà dalla refurtiva il venti per cento del valore, cioè, due.
A voler
essere obiettivo il ladro deve rendere, sul lavoro,
per cinque per ottenere il massimo, cioè dieci, se poi calcoliamo che per lo
stesso lavoro sono in tre a dover trarne profitto, solo allora si avrà il vero
calcolo di energie e di paura, perché sarà strano, per qualcuno, ma anche i
ladri hanno paura, e come. Una volta sfatata la leggenda che i ladri rubano
perché è facile o per arricchirsi, torniamo ai nostri eroi.
Il
programma stabilito dai tre compari era quello scassinare nella notte il
deposito di un piccolo supermercato, di quelli non appartenente alla grossa
catena di distribuzione, uno di quelli gestiti a carattere famigliare per
intenderci.
Almeno
questo era nelle loro intenzioni, ma non sempre i desideri si avverano o vanno
nel verso giusto.
A
scassinare il deposito non ci misero molto, trasportare prosciutti, salame e
formaggio, nel loro sgangherato furgone, nemmeno, l’inghippo nacque con la forma
di parmigiano, per cap’e fierr
sollevare i quaranta chili della forma di reggiano fu una bazzecola, poggiarlo
nel furgone pure. O’ninnill considerò
non essere da meno del compare, vedendo
la facilità con cui l’amico l’aveva sollevata, pensò fare altrettanto.
Riuscì
solo metterla verticale però. Non tenne conto che la strada era in pendenza, prima
che questa prendesse a rotolare dal furgone giù in strada.
Per
colmo di sfortuna, la via in pendenza, permise alla grossa forma di reggiano
prendere velocità fino a schiantarsi: indovinate dove? Nella portiera dell’auto
della polizia, che in quel momento transitava sulla strada più giù, in parallelo
alla verticale del formaggio.
I tre rimasero impietriti, non per l’arrivo
della polizia, ma per il dispiacere di aver perso un colpo quasi perfetto.
Sapete
cosa dichiararono alla polizia i tre gaglioffi? Che loro erano arrivato al
furgone nello stesso tempo, proprio in quel momento. Erano rimasti meravigliati
anche loro, e non sapevano chi avesse messo la merce nel loro furgone.
Loro erano lì per andare a lavoro non per
rubare, stavano appunto togliendo la merce dal loro furgone perché non apparteneva
a loro e non sapevano di chi fosse.
Chiamali
stupidi! Non ci crederete, la polizia
verbalizzo la loro dichiarazione, chiamo il proprietario del piccolo supermercato
per inventariare la merce e trasportarla di nuovo a magazzino. Questo fu
ripetuto dai tre anche alla presenza del giudice, chiamato a giudicarli in
direttissima, il quale non poté che rilasciarli non essendoci prove alloro
carico.
Se i tre
pensavano di cavarsela per il rotto della cuffia si sbagliavano di grosso,
avevano fatto i conti senza l’oste.
Il locandiere
in questione era Giuseppe Polveri alla cui corte furono chiamati a rispondere i
tre malcapitati.
A
Napoli, e non solo, ci sono due tutori della legge, la polizia con i giudici e
le carceri.
Poi ci
sono le varie organizzazioni criminali. A detta di molti la seconda è meglio
organizzata, tutte e due hanno la stessa funzione quello di far rispettare le
regole. Conosciamo quelle dello Stato, meno quelle della criminalità.
I tre
disgraziati sono andati a rubare a un protetto dalla camorra , protetto si fa
per dire.
Ci sono
diversi modi di pagare chi ti vessa, il primo consiste di comprare la merce che
la camorra t’impone, sia quello prodotto legalmente da loro, oppure manufatti da imprenditori che non riescono a
entrare sul mercato.
I quale poi pagheranno una percentuale sul
venduto, in nero, ai signori della camorra. Poi ci sono quelli che prendono le
distanze, perché si ritiene persona onesta, ma ciò non li esonera a pagare con
moneta contante il pizzo.
Molti
pagano o comprano per avere una polizza assicurativa, ti salva da altri clan e da
ladri e rapinatori.
I tre
furono prelevati, di peso, dal circolo ricreativo, e condotti alla presenza di Peppe o’pazz.
“Giovanotti!
Questo è l’ultimo avviso che faccio a tre teste di cazzo come voi, sulla mia
zona non dovete operare, dovete lasciare in pace i miei amici, ci siamo capito!
Non ci sarà un altro avvertimento. E non pensate ci rimetto colpi di pistola in
quelle vostre cap'e merd che vi ritrovate, vi faccio affogare e sotterrare nella
merda dei bufali. È questo che volete? Fatelo
un’altra
volta e io v’accontento.”
Dopo che
i tre hanno assentite con la testa più volte, senza mai parlare, il Boss
elargisce la sua magnanimità.
“Se fati i bravi vi do io da guadagnare. La
settimana prossima ci sarà da piazzare un carico di prosciutti e grana padana,
Michele mio figlio vi avviserà e darà le istruzioni al momento opportuno. Mo
toglietevi dalle palle.”
Inutile
far rilevare che si tratta di merce rubata. Le società di assicurazioni ormai si
rifiutano di assicurare i trasportatori che dal Nord, scendono oltre Roma verso
il sud dell’Italia.
Qualcuno
una volta disse: Cristo si è fermato a Emboli.
Non
credo che al nostro caro e onorato Levi, avrebbe fatto piacere sapere che la
linea di demarcazione non è più quella. Il deserto del malaffare, la
desolazione della miseria, il malcostume cancro della società, sta rodendo man
mano la penisola. L’anima degli uomini va coltivata come la terra, senza aspettare
che l’albero diventa grande, bisogna innaffiarlo, potarlo, concimare prima, non
quando, ahimè è troppo, tardi. Così facendo si lascia spazio alla malerba di
attecchire ed espandersi, soffocare la pianta, senza possibilità d’arginarla.
Quando a
mantenere l’ordine e far rispettare leggi e regole, non sono quelle della
società civile, ma poteri costituiti arbitrariamente, vige la legge della
foresta, quella del più forte, del più astuto, del più disonesto, del più
feroce.
Per i
tipi come Peppe o’pazz è facile
mantenere l’ordine nel proprio reame,
perché ai sudditi non è concesso appello! Chi sbaglia paga con la propria vita.
È così La famiglia acquisisce tre altri
elementi.
Difficile
che qualcuno non sappia come nascono le famiglie allargate dei malavitosi.
Direi impossibile, i giornali, la televisione,
libri riviste, sono cresciute proprio parlando di malaffare, solo chi è sordo e
cieco, può non vedere, sentire quello che la criminalità organizzata è riuscita
in questi ultimi anni a organizzare nella collettività e in politica. È così
addentrata in ogni ganglio della società da fare apparire come fosse cosa normale.
Per entrare a far parte in una della tre,
mafia, camorra e ndrangheta bisogna prima sottostare a un tirocinio che può durare
anche anni di gavetta, si comincia dal gradino più basso, per assurgere
man-mano e guadagnando la fiducia della famiglia a posti più rilevanti. Tutto
questo sempreché prima l’elemento non sia eliminato dai rivali, ammazzandolo.
L’iter è sempre lo stesso da secoli, s’incomincia
con la manovalanza vera e propria, fare il palo, scaricare e caricare merce
rubata, guidare camion e furgoni per lo spostamento della refurtiva. Fare da
autista e guarda spalle ai capobastone. Dopo un periodo in cui l’elemento
dimostra di saperci fare, è sottoposto al battesimo del fuoco, ammazzare un
concorrente o un presunto nemico della famiglia.
A
missione riuscita è sancito il patto di sangue, l'affiliato entra a far parte
della famiglia diventando cosa propria del Boss, il quale può disporre, della
sua vita nel caso ce ne fosse bisogno, in ogni momento.
Questo è
uno dei modi per entrare per far parte nelle cosche camorrista e mafiose, per
la ndrangheta il sistema è diverso, per farne parte bisogna essere
consanguineo, quelli acquisiti.
Rimangono
semplici ndranghetisti. Un altro sistema, è coinvolgere elementi che possono
essere utili alla famiglia.
Tra
questi la maggior parte sono: commercianti senza scrupoli, pronti ad acquistare
merce rubata e sottocosto, e a nero.
Inizialmente loro pensano di fare solo un buon
affare, invece senza rendersene conto entrano a far parte nel meccanismo
malavitoso, dopo, non possono rifiutare favori alla cosca quanto questi saranno
richiesti. Questo succede anche con i professionisti, medici, ingegneri, avvocati,
ragionieri, commercialisti, notai. Tutti sono coinvolti in modo che dopo non
possono rifiutare d’essere assoggettati a loro. I guadagni facili e
remunerativi fanno gola a molta gente che non si fa scrupolo di come e dove
vengono i soldi.
Spesso
li reclutano quando questi sono all’inizio della professione, quando la
necessità di guadagno induce, a essere meno schizzinosi ad assumere un incarico
professionale da un malavitoso. Qualcuno dopo anni se ne rammarica o si pente,
quando ormai è troppo, tardi. Ormai sono stretti in una morsa
letale,
meglio dire, uno abbraccio mortale.
Gli
schedari della polizia sono pieni di casi d’omicidi irrisolti di persone
incensurate, pochi di questi si saprà mai la causa e di venirne a capo.
Proposta indecente
Per
Mira, era quasi ora di chiudere l’ufficio e andare a casa, Maria, la
collaboratrice, da un pezzo aveva alzato i tacchi, forse in strada l’aspettava
il fidanzato, sorride all’idea, un po’ meno quando è il trillo del campanello a
distoglierla dal suo daffare, si chiede: speriamo non sia un/a perditempo.
Il suo
stupore aumenta quando dall’occhio spia della porta, vede suo zio Giuseppe, si
chiede cosa vorrà? Lecito chiederselo ma lo stupore resta. Non gli rimane che
aprire per sapere: “Ciao Picceré, non
dai un bacio a tuo zio?"
Si fa da
parte, permette a lui d’entrare, noncurante dell’offerta Affettuosa proposta dallo zio. Lei sa bene che sono parole vacue,
che nulla hanno a che fare con l’affetto parentale.
“Giuseppe
Polveri, non credo ti sei scomodato arrivare fino a Pozzuoli per ricevere in
compenso un bacetto sulle guance da chi ti rifiuta anche come zio.”
“Cominciamo
male Picceré, dovresti sapere ormai che
le mie intenzioni sono sempre buone per te.
E poi di quello che vuò, fai sempre parte ra’famiglia. Sono qui per
proporti un affare, è non pensare che non sia lecito, anzi direi più che
lecito, è “onorevole.”
Segue
una risata alla battuta di onorevole, la farsa sembra anche a lui poco
credibile. Di fatto la giovane avvocata non può che rispondergli a tono.
“
Giuseppe Polveri, potevi risparmiati la passeggiata, tanto sapevi già la
risposta, per cui era inutile arrivare fin qua.
Lui
cerca di argomentare ma lei lo zittisce con un’alzata di mano, per digli. Non
ho finito.
“Sai
bene che non voglio avere niente a che fare con i tuoi affari leciti e illeciti,
tantomeno “onorevoli” come tu li chiami. Mi dispiace non posso nemmeno
ascoltarla la tua proposta, perché stavo per uscire, ho un appuntamento in cui
non posso assolutamente mancare.”
Lo
sguardo dell’uomo si fa duro, non è avvezzò essere trattato in quel modo da
nessuno, tanto più se questo è una donna. Il suo tono non ammette repliche
questa volta.
“E invece
l’impegno…lo fai aspettare!”
Con
queste parole chiude con il tacco del piede senza voltarsi la porta alle sue
spalle, fa segno con la mano a Mira di accomodarsi nello studio.
Il buon
senso della ragazza prevale sulla rabbia, andandosi ad
accomodarsi
dietro la sua scrivania.
“Il
fatto che mi hai costretto ad ascoltarti non significa di aver cambiato
opinione nei tuoi riguardi.”
“Io sono
un uomo d’affari, e tu lo sai, quello che sto per proporti è principalmente un
affare per me e per te, e perché no, per l’intera famiglia. Come sai fra
quattro mesi ci saranno le elezioni politiche, ho pensato che avere un
onorevole in famiglia non può fare che bene, e poiché tu sei un avvocato, giovane
e bella, chi più di te ha queste possibilità, premetti che l’elezione è sicura,
a quello ci pensiamo noi, la tua famiglia. Pensa: onorevole Mirian Cascella.
Eh, che te ne pare?”
La
ragazza guarda l’uomo e si chiede cosa ha fatto per merita-re come parente un
farabutto come questo. Invece morde la lingua per evitare che lui possa avere
una reazione violenta. Meglio fare buon viso e cattivo gioco, per adesso deve solo
trovare il modo farlo uscire dallo studio, poi si vedrà.
“Ti
ringrazio dell’offerta così pregevole, mi hai colto alla sprovvista, or,ora non
saprei proprio cosa risponderti. Ho bisogno di un po’ di giorni per riflettere.
Non è
poco cosa, prendere una decisione così impegnativa. Ora, se non ti dispiace,
dovrei andare, non posso perdere altro tempo, mi aspettano.”
L’uomo
non si alza subito, riflette, non è uno stupido, lui ci ha provato, le sue
parole ne sono la conferma.
“Piccerè, è un’occasione da non perdere, pecchè o’tren, n’ata vote non si
fermerà più alla tua stazione.”
“A
volte, caro Giuseppe Polveri, è molto meglio farsela a piedi, che prendere un
treno, certo non si viaggia comodi in prima classe, ma è molto più sicuro e
salutare.”
Lo zio non
risponde, come accettasse per buono il consiglio. Intanto lei si dirige verso
l’uscita per fargli capire che la consultazione è finita. Peppe dopo una
piccola titubanza si avvia anche lui verso la porta. Sulla soglia Mira si
ricorda d’essersi dimenticata alcune carte, una scusa per non permettere allo
zio di fare altra eventuale avance. Lo saluta chiudendogli la porta alle
spalle. Poi corre a sedersi dietro la scrivania rilassandosi sospirando per la
tensione del passato pericolo. Perché avere a che fare con Peppe o’pazz è sempre un rischio anche se si tratta di un parente.
Chi non muore, (o non va galera) si
rivede.
In
Italia quasi ogni anno ci sono elezioni, per cui le feste si susseguono alle
festività naturali e comandate.
È così
che s’intendono le elezioni da Napoli a Caltanissetta. Tutti sono un po’ più
ricchi. Circolano soldi più della tredicesima a dicembre. Sono come le
festività natalizie sono giorni di vacche grasse. C’è una differenza, a gioire
non sono solo quelli che hanno la fortuna di percepire una tredicesima legalmente.
Sono i tipi come Totore cap’e fierr, Totonn per’e puorc, e Ciro o’ninnillo. A occhio
critico si potrebbe pensare, che cosa hanno da spartire tre ladruncoli con le
elezioni politiche, centrano, centrano, e hanno da spartire. Sono reclutatori
di voti! La manovalanza di bassa lega di cui si parlava prima.
La
politica per la quasi totalità è un affare, s’investe un capitale per ricavarne
profitto. I modi sono molteplici, si va dal proselito politico al
professionista conosciuto e non solo, al personaggio del giorno. Certo non sono
loro a reclutare nei ceti più ambienti. Loro si occupano dei poveri cristi,
disoccupati, ladruncoli di mezza tacca, e’spiccifaccènd, i bisognosi quelli che
non riescono a mettere insiemi pranzo e cena.
Tutti
però hanno paura di non farcela. A questo punto si ricorre all’aiutino esterno,
la camorra, la ndrangheta, la mafia.
Sempreché
loro non hanno un proprio candidato da eleggere. Prestano i loro servizi a chi
ne fa richiesta patteggiando il costo per ogni voto di scambio.
Gli eletti
s’illudono che una volta avuto l’incarico
tutto finisce. Non basta aver pagato, in un modo o nell’altro, per salire al
seggio, con le buone o con le cattive saranno ricattati per tutta la vita.
Altrimenti c’è la pena definitiva.
La
triade entra in gioco, con altri come loro, girando per i rioni popolari
promettendo di tutto, al posto in comune a una prebenda cash in denari o con un
pacco alimentare. L’accaparramento è molteplice: banconote da venti o cinquanta
euro tagliati a metà, un pezzo prima del voto, metà dopo aver votato. Buoni pasti
e taglianti d’acquisti, che i votanti spenderanno a loro piacimento, nei negozi
della camorra. È in questo modo che molti politici siedono nel parlamento, non
per legiferare ma per assecondare la clientela che l’aiutato a eleggerlo. È
cosi, che immoralmente, il male affare si è allargato a dismisura in Italia,
una catena di interessi privati, e corruzioni.
È quello
che pensa in questo momento l’avvocato Mia Cascella entrando il giorno dopo
nell’aula della settima penale, rammaricandosi di assistere sempre alla stessa
storia, chiedendosi: finirà mai?
Giuseppe
Polveri non era nuovo a progetti simili, lui poteva vantare di avere mandato un
sacco di gente sia nei Comuni sia nei parlamenti a Roma. Questo, Mira lo sa bene,
mai avrebbe pensato si sarebbe spinto fino a lei, sapendo cosa pensava di lui
l’avvocato Mira Cascella.
Le sue
riflessioni sono momentaneamente sospese perché in quel momento fanno il loro
ingresso in aula i due carabinieri, con, in mezzo il presunto marsigliese. Nell’incontrare
il suo sguardo, una vampata di calore sale dal basso verso il viso, una
sensazione mai provata. Lui le sorride a mo di saluto, lei si gira per non
mostrare il suo imbarazzo, cosa che solo lei prova e chiedendosi perché non
riesce a contenere questo suo turbamento.
Prima
che la corte entrasse, arriva tutto trafelato l’avvocato della difesa nel sedersi
manda un sorriso di saluto a Mira, chiedendosi cosa ci fa la nipote di Peppe o’pazz nell’aula. Anche Mira sta
pensando quello che in quel momento passa nella testa dell’avvocato dello zio.
Non può fare a meno di sorridere pensando all’imbarazzo del collega che
sospetta d’essere sorvegliato dal clan dei Polveri.
L’udienza
dura poco, il tempo che l’avvocato fa rilevare l’ine-sattezza del verbale
redatto dal carabiniere, messo agli atti l’autorizzazione del possesso dell’arma,
per difesa personale, dimenticato nella valigia in albergo. Fatto rilevare che
il suo assistito nell’estrarre la pistola non voleva minacciare il colonnello
dei carabinieri, bensì stava semplicemente conse- gnando la pistola a chi
compete. Il teste chiamato in causa dovette ammettere che non ci fu minaccia
verbale contro di lui, era stata una supposizione di uno dei militari a
pensarlo. Non avendo nessuna relazione con il resto degli arrestati, ma trovandosi
per puro caso nei pressi del capannone dove era in atto la retata.
Il
giudice non poté che prendere atto delle dichiarazioni e di-chiarare nulla a
procedere nella persona di Jean-Luc Jarden, il quale non aspettò oltre nel
porgere le mani ai militi per farsi togliere i ferri ai polsi.
Mira,
non attese nemmeno lei altro, preso atto che era tutto una farsa, girò sui
tacchi e uscì dall’aula.
L’aveva
immaginato sarebbe stata quello che poi è stato, una madornale farsa a spesa
della legge, e una presa in giro per l’incolpevole e inconsapevole giudice,
forse.
Bolliva
di rabbia per vari motivi, sapeva che lui non era quello che voleva fare
intendere fosse.
L’entrata
in scena dell’avvocato dello zio palesava un coinvolgimento del presunto Jesus
Jarden in trame losche. Qualcosa non quadrava però, lei si sentiva impotente e
per questo reprimeva l’irresistibile impulso di urlare l’insoddisfazione,
l’impotenza d’essere una spettatrice e nulla più.
Nel
pomeriggio, non appena entra in ufficio, l’amica e assistente sembrava la aspettasse
per comunicargli qualcosa d’interessante non solo a lei. Rimane delusa dopo che
Mirian
le
chiarisce che per lei la notizia non è una sorpresa.
“Mira,
hai un appuntamento alle diciotto con un nuovo cliente, sono curiosa di
conoscerlo anch’io."
Mira,
guarda Maria, la sua assistente, arcuando leggermente la fronte, si chiedeva
perché quella curiosità da parte sua.
“Ha un
accento francese delizioso.”
Si
precipita soddisfare l’amica, visto l’espressione di dubbio sul volto di Mira.
“Ah, per
tua informazione non è nuovo, e innanzitutto non sarà nostro cliente di questo
puoi esserne certa. Poi con calma ti racconterò il perché…. non insistere, ho
detto poi.”
La
ragazza anche se con broncio deve accontentarsi della pro-messa. Considerarsi
amica, non le concedeva il permesso d’obbiettare i rilievi fatti dalla datrice
di lavoro, che apprezza, e stima, sia per l’emolumento fine mese, e per quello che
impara seguente le sue direttive.
Mira
guarda l’ora, poi si chiede perché lo fa: non ho nessuna fretta d’incontrarlo
il bel tomo che passa per francese. Sa che non è vero, ed è per questo, che
guarda l’orologio al muro.
Forse viene
a scusarsi per avermi mentito per tutto il tempo. O per riavere i cinquanta
euro? Ma nooo? Poi si ricorda averglieli lasciato sul tavolo insieme al suo
biglietto da visita.
Anche se
fosse, a quello gli fanno un baffo, i miei miseri euro. Sono stata una stupida
andare questa mattina in aula ad assistere alla farsa, chissà cosa avrà
pensato. Mi basta attendere per saperlo. Questo e altro si chiede, mentre il
suo sguardo torna all’orologio per accertarsi dell’ora.
Alla
fine le ore18 arrivano, e con esse il trillo del campanello d’ingresso. Per un
attimo distoglie l’attenzione dal cliente che ha davanti, solo pochi secondi,
sufficienti a fargli capire con quanta tensione stava aspettando quel suono.
Maria fa
capolino dalla porta per avvisarla che il cliente delle ore 18 è arrivato. Un escamotage
per dire al cliente seduto davanti a Mira, di alzare i tacchi perché il suo
tempo è scaduto, e che ci sono altri clienti in attesa.
Nell’accompagnare,
salutandolo, l’ospite alla porta, s’imbatte in Jean-Jesus che di spalle
osservava un acquerello comprato da lei in un bugigattolo d’antiquariato a San
Biagio dei Librai.
“Se
vogliamo accomodarci, faccio strada.”
Lui la
segue senza proferire parole, fin quando non si è seduto di fronte a lei.
“Che ne
dici, se sotterriamo, lascia di guerra? L’ultima volta non è che avevi molta
simpatia per il sottoscritto, anche questa mattina sei scappata, eri arrabbiata
come se avessi ricevuto un torto dal sottoscritto.”
Mira
prima di parlare prende fiato e tempo, sa che deve ora chiarire molti punti con
il bell’imbusto.
“A essere
sincera un torto l’ho ricevuto, quello alla mia intel-
ligenza.
La farsa che finora hai recitato urta contro la mia sensibilità di
apprendimento. So che non sei quello che appari. Se ancora non ho dissolto i
miei dubbi, a chi compete, e solo per cautela e rispetto alla memoria per
quello che consideravo un onesto uomo. Ora, se continui sostenere di essere
quello dimostrato finora, non abbiamo niente da dirci, perché chi è in combutta
con Giuseppe Polveri, io, non voglio averci niente da spartire, i cinquanta euro
li ho restituiti, altro non ci accomuna, finisce qua la nostra storia, anche se
non avrei voluto finisse così.”
Lui
avendo fisso lo sguardo nei suoi occhi, non parla, anche se non ha smesso di
sorridere, facendo innervosire ancor di più lei. Si alza facendo un cenno
d’attesa, esce dall’ufficio per ritornare dopo dieci secondi. Tra le mani ha un
magnifico mazzo di rose rosse.
“Li
avevo dimenticati dalla tua segretaria, questi sono per te, ora possiamo
ricominciare da capo?”
Mira
guarda prima le rose poi lui, non nasconde un sorriso.
“Le rose
sono belle, anche se continui a raccontare bugie.”
Lei
sapeva che la dimenticanza non era vera, se lo fosse stato, Maria si sarebbe
precipitata da lei con i fiori in mano ricordando allo smemorato di averli
dimenticati. È evidente che l’amica Maria si è fatta corrompere dallo sguardo
dolce di Jean-Jesus, o come cavolo si chiama.
“Non
accetto i fiori da uno sconosciuto, perché io non so chi sei, e fin quando non
saprò con chi ho a che fare, non accetto omaggi, anche se sono fiori, credo di
essere stata chiaro.”
“Mi
avevano detto eri tosta, non immaginavo tanto. Perché pensi, che non sia quello
che affermo di essere?”
“ Continui
a offendere la mia intelligenza, tu quella sera che mi venisti in aiuto non eri
in francese di oggi. Tutta la farsa dell’arresto e della convocazione davanti
al giudice raccontala a qualcun altro, i militi non saranno dei geni, ma
nemmeno tanti stupidi da non saper redigere un ordine di cattura alla presenza
di un colonnello. Se continui a sostenere ancora tutto ciò, non abbiamo più
niente da dirci, se non ti dispiace, avrei da fare, non sono avvezza ascoltare
fandonie da presunti farabutti. Se sei venuto per un consulto, sappi che la mia
parcella costa cara, molto cara. Se poi come tu dici, sei sotto le vesti di
vecchio amico, come già detto, non accetto che mi si dicono bugie, tanto meno da
uno che si professa amico.”
Una proposta “quasi” indecente
Detto
fatto, si alza dandogli la mano attraverso la scrivania. Lui rimane seduto, la
guarda per interminabili secondi prima che la voce di quella notte di tredici
anni fa, pronuncia verbo.
“Mira,
siediti ti prego.”
Passano
ancora interminabili secondi prima che riapre bocca.
È
evidente che quello che ha da dire gli crea difficoltà, ma sa, che la ragazza subodora
già qualcosa se vuole la sua amicizia, è lui la vuole ad ogni costo e non solo
per la sua sicurezza personale. È arrivato al dunque, non può mentirgli più a
lungo. Dal primo giorno a capito che Mira non è una stupida, anzi, ad averle
donne belle e in gamba nell’organizzazione in cui milita. Lui questo ne è
conscio, però ciò non basta.
“Devo
chiederti comprensione e fiducia, a dir meglio mi appello alla deontologia
dell’avvocato per il segreto professionale. Prima però, ti devo delle scuse,
hai ragione, non sono francese, né Jean-Jesus Jarden, mi chiamo Jesus Di
Nazaretti, di più non posso dirti. Questo rimane tra noi, questa confessione
non doveva mai avvenire, l’ho fatto per non offendere ulteriormente la tua
intelligenza, e per non compromettere quello di cui mi occupo. Ho fiducia nel
tuo silenzio, sappi è in gioco la mia incolumità. Basta questo per avere la tua
fiducia e comprensione?”
“Bastava
mi asserissi la verità, che non eri quello che volevi apparire. Non pensi che
abbia capito qual è il tuo segreto. Una curiosità che non ha nulla a che vedere
del nostro caso. Mia nonna materna porta lo stesso tuo cognome, non è che alla
fine potremmo scoprire essere lontani parenti?”
Questa
ingenua considerazione buttata lì tanto per dire, non
può immaginare quando vicino è alla verità
storica.
“Chissà,
forse, da quello che ho potuto appurare, sono pochi i Di Nazaretti in giro, ma questa
è un’altra storia da verificare. Tornando a noi, sì, credo anch’io già conosci
metà verità, lo stesso non posso dire altro, perché è meglio per entrambi.
Finito
la nostra controversia, mi permetti di invitarti a cena? Ti prego non dire di
no. Perché ho una proposta, interessante, da sottoporre alla tua attenzione.”
Mira e
Jean-Jesus andarono a cena, lui gli sottopose la famosa proposta. In cambio
Mira scoppiò in una sonora risata, non aveva tutti i torti nel trovare la
proposta esilarante, poiché aveva ricevuto, poco tempo prima, un’altra
diametralmente opposta dal suo “caro” zio.
Quella
di Jesus non offendeva la sua morale ma era lo stesso lontano dal suo vivere la
vita. Lei non cerca colpevoli da condannare, si batte per provare l’innocenza
dei presunti colpevoli. Dare la caccia ai malfattori si finisce somigliare a
loro, a furia sentire le malefatte si acquisisce senza volere la stessa
mentalità del sistema truffaldino dei partecipanti. Aveva fatto una scelta di campo.
Era
quello per cui si era battuto da piccola, non avere niente che conducesse alla
sua famiglia.
La proposta
mostrava che lui prima di fargliela aveva preso le dovute cautele informandosi
sulla sua persona presso il casellario giudiziale e le autorità competenti.
Non basta
essere avvocato per risultare ligio alle leggi, per entrare a far parte nel corpo dei carabinieri, la fedina penale deve
passare nella lavanda gastrica. Deve essere immacolata come l’anima di un
bambino. Che poi dopo qualcuno di essi si macchia di orrendi soprusi,
bisogna considerare che l’anima
non è
più quella di un bambino. Spesso si
danno per scontato, cose che scontate non sono.
C’è
sempre un motivo che porta a comportamenti e azioni che nulla hanno a che fare
con il nostro DNA. Continuiamo a commettere l’errore di valutare le azioni e
comportamenti come se fossero ereditari. Tutti sappiamo che non è detto il
figlio di un bravo avvocato diventi avvocato pure lui, potrebbe addirittura non
finire gli studi, così è per l’ingegnere, medico, ecc..ecc.. ciò non ci
impedisce di bollare un figlio di un ladro, ladro anche lui.
Chi non
ha sentito questa espressione: tale padre, tale figlio. Chi sa perché a farci
caso, spesso è usata sempre in termine spregiativo. Nessuno nega, come in tutte
le cose umane, che le eccezioni non mangano.
Usare
come motto che i figli sono a immagine e somiglianza dei genitori e pura
eresia. Molti dubitano che sia vera anche quella che c’è tramandata da millenni
dalla chiesa di Roma. A loro dire, si può condividere o no, che siamo a
immagine e somiglianza di Dio.
Doveva
essere un gran peccatore, Lui, se è vero che la colpa dei padri ricade sui
figli. Perché tutto si può dire ma non che l’umanità abbia attraversato ere
felici.
Bisognerebbe
chiederci: quante sono, e quando finiranno, le pene da scontare per i figli di
Dio?
La risata di Mira ha un po’ a che fare con le
sopra riflessioni, perché la proposta di Jesus, fatta appena pochi giorni di
differenza da quello dello zio. Consisteva in una sua collabo-razione nelle
forze di polizia, specificatamente nei ROS dei carabinieri, per chi non
l’avesse ancora capito, il giovane è un capitano dei ROS sotto mentite spoglie.
Mira
aveva tutte le ragioni, trovare l’offerta buffa e irridente, del suo eroe.
Ecco
perché non bisogna dare per scontato quello che sconta-to non è, se prima non
c’è la controprova.
L’uomo
nella sua esistenza ha modificato quasi tutto, perfino la natura che lo circonda,
deviati i fiumi, creando nuove razze di animali, ha rasato a suolo le montagne,
perforando la crosta terrestre rendendola come una gruviera.
L’unica
cosa che ancora non gli riesce modificare è il suo cervello, ma non è detto che,
prima o poi, non riesca.
Alcuni ci hanno provato, il risultato non è
stato molto soddisfacendo, Frankenstein per esempio, ci hanno riprovato in più
maniere, il risultato, ahimè non è stato molto brillante. Per ora dobbiamo accontentarci
dei cervelli artificiali.
Per il
semplice fatto ogni uomo è diverso dall’altro, non solo fisicamente, non basta
discendere per secoli da una schiatta per essere simili in ogni dove. Forse
dobbiamo a questo la nostra grandezza e la nostra diversità dagli altri esseri
viventi. Il cervello dell’uomo è in continuo evoluzione naturale.
Partiti
alla pari, con il resto del mondo animale, dal quale discendiamo, siamo
arrivati dove siamo.
Cioè,
essere chi ha in mano le sorti del nostro pianeta, dell’habitat di tutti gli
esseri viventi umani, e no. Se così non fosse stato, chi può dire cosa saremmo
ora, se sia stato un bene o un male, non saremo noi a deciderlo.
Né ci
sarà, a posteriori, almeno credo, chi potrà deciderlo! Anche la storia di Mira
e del giovane “Jean-Jesus” forse avrà un futuro, chissà come e quando.
Loro non
potevano immaginare quanto fossero stati vicino alla fine della loro esistenza.
Anche
questo va lasciato ai posteri, o chi ha curiosità e pazienza per conoscere il seguito!
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