L'AUTOSTOPPISTA (9)




  «Prendo lo stesso treno, dai a me, ci penso io.»

  «Grazie signore, io l’avevo detto a mamma che era troppa la roba.»

  «Che ci vuoi fare, le mamme sono fatte così, spingono i figli a fare cose sempre più grandi di loro, sperando di vederli arrivare dove loro non hanno potuto. Non è detto, però, che ci azzecchino sempre, come nel tuo caso, penso anch’io che tua madre abbia esagerato.»

  Sistemate le valige, Leo e la ragazza siedono uno di fronte all’altra. Lei, quasi a volerlo disimpegnare dal compito all’arrivo, dice:

  «A Bologna c’è mio fratello Bruno che mi aspetta, ci penserà lui, tanto quella è tutta roba sua.»

  Poi parla del fratello:

  «In Svizzera costa tutto più caro. Bruno continua a ripeterci che vuole comprare terra a Catania per mettere su casa per la sua famiglia. Quando lui scende a Bologna io salgo su e porto roba che poi lui vende ai nostri compaesani, questo però è l’ultimo viaggio che faccio.»

  «Come mai sei a Firenze se vieni da Catania?»

  «Perché quella spilorcia di mamma afferma che i treni che non hanno fermate intermedie costano troppo, lei dove va?»

  «Ti sembrerà strano, anch’io vado in Svizzera, a Berna per la precisione, e vengo da Catania come te.»

  «Madonna del Rosario! Anche mio fratello lavora a Berna, oggi è a Bologna perché alla ditta per cui lavora servivano dei pezzi che fanno solo a Bologna, perché non viene con noi?»

  «Bisognerà sentire suo fratello cosa ne pensa, non le sembra?»

  «Conosco mio fratello, non rifiuterebbe mai un passaggio ad un paesano, anche se lei non è catanese vero?»

  «Hai visto giusto, sono fiorentino.»

  «Madonna del Rosario, non ci capisco niente, lei è fiorentino,  lavora a Catania e ora è in viaggio per  Berna.»

  «Io lavoro e vivo a Catania, ora sto andando a Berna a trovare mia figlia che si è sistemata a Berna, ti è chiaro adesso?»

  La ragazza non risponde, pare ci abbia rinunciato.

  «Io mi chiamo Mariastella Cuffaro, Bruno mi ha trovato un lavoro come cameriera in una pizzeria napoletana, dice che non fa niente se non conosco la lingua, tanto lì vanno a mangiare solo italiani, se arriva qualche svizzero si capisce che vuole la pizza.»    

  «Giusto, in tutto il mondo, ormai, sanno come ordinare una pizza.»

  Una volta arrivati, ad aspettare Mariastella c’è un giovanottone rampante che le somiglia molto: gli occhi, i capelli, la rotondità del viso sono gli stessi. Dal finestrino Leo guarda giù, dove la ragazza si è precipitata appena ha intravisto il fratello sotto la pensilina; ora i due si abbracciano con affetto e mormorano qualcosa, poi il fratello si rivolge a me:

  «La ringrazio di essersi preso cura di mia sorella e di averla aiutato signor Leo.»

  Il giovane nel frattempo sale in treno, alza le valige come fossero fuscelli, una sulla spalla sinistra l’altra sotto il braccio destro.

  «Venga, mia sorella Stella mi ha detto che anche lei va a Berna, c’è posto nel furgone.»

  «La ringrazio, cercherò di non dare troppo fastidio.»

  «Lei scherza, quale fastidio? È un piacere mi creda, non succede spesso di dare un passaggio ad un paesano acquisito.»

  Nel parcheggio, ad attenderci c’è un grosso furgone Volkswagen. Bruno sposta dei grossi scatoloni vuoti, mette dentro le valigie e richiude con l’adesivo, dopo aver sistemate le valige rimette a posto gli scatoloni aggiungendone altri sopra, vedendo che Leo guarda incuriosito la manovra dice:
  «Lei dovrebbe saperlo come sono rigidi gli svizzeri, per loro tutto va fatto senza uscire dagli schemi, sono severi con se stessi e con gli altri

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