L'AUTOSTOPPISTA (8)




altezza, la moto si ferma al centro della strada, il guidatore getta uno sguardo alle sue spalle, poi fa inversione di marcia fermandosi accanto a lui, alza la visiera del casco, Leo riconosce il giovane della burla e gli sorride.

  «Ho deciso di darle uno stappo, dove va? Ah, a proposito, mi chiamo Alessandro Valle, Ale per gli amici.»

  «Io Leonardo Citteri, Leo per gli amici, ora siamo pari, mi dici che ci fai qui? Dov’è finita la tua ragazza?»

  «In verità è stata lei a suggerirmi l’idea, ha detto che il modo migliore per scusarmi era darle uno strappo. Lei, Luisa, non abita molto lontano da qui. Ecco, prenda il casco e monti su che partiamo, ancora non ha risposta alla domanda, dove la porto?»

  «Non ho risposto per non spaventarti, ma se insisti: vado a trascorrere parte delle ferie a Berna da mia figlia, ora che lo sai sei ancora intenzionato a darmi lo strappo? Scherzo, mi va bene dove vai tu.»

  «Io vado a Firenze, lì studio ingegneria, non mi sei affatto di peso. Ma perché sorridi?»

  «Caso vuole che molti anni fa anch’io studiassi alla stessa università, quanti esami devi dare ancora?

  «Eh, hai voglia! Ma tu vedi chi ti vo ad incontrare per fargli una bischerata, che tu ci fai da ‘ste parti, insegni?»

  «Non ti sembra di voler sapere troppe cose in poco tempo? In ogni modo per soddisfare un minimo della tua curiosità, ti dico che lavoro a Catania in una multinazionale, sono a capo del reparto informatizzazione e sicurezza, soddisfatto?»

  «Porcaccia miseria ladra, no che non sono soddisfatto, perché ci vai a piedi a Berna?»

  «Perché mi piace camminare. Senti se devo subire un terzo grado preferisco non avere lo strappo.»

  «Che mi venga un accidenti se ti fo andare a piedi, monta su, cosa aspetti?»

  Per la terza volta nella giornata, Leo sente il rombo della moto, questa volta non sfuma, sta proprio sotto di lui, ha la sensazione di cavalcare un tuono. Si attacca al giubbotto del ragazzo per non farsi trascinare dal vento che spinge nella direzione opposta.

  È quasi notte all’arrivo a Firenze. Il giovane, una volta fermi, togliendosi il casco gli fa:

  «Non vorrai andar via così vero? Questa sera sei mio ospite.»

  Leo accetta l’invito a stare nella cittadella universitaria, ha voglia di ritornare, anche se per pochi minuti, in quell’aula dove ha trascorso la sua giovinezza e soprattutto dove ha conosciuto Elizabeth, la mamma di Sissi. Ricorda l’ansia dei primi mesi di gravidanza, il timore di dover interrompere gli studi, il passato gli passa davanti come un flash. Il giorno dopo Leo si rende conto che l’entusiasmo del ragazzo lo ha portato fuori pista, non doveva lasciare la costa, lì è più facile ricevere uno strappo. Ora gli toccherà prendere il treno fino a Bologna, è impensabile attraversare a piedi l’Appennino tosco-emiliano, è un percorso difficile, e faticoso.

  Come in tutte le stazioni, in quella di Firenze succedono le solite cose: gente che va e che viene, gente in attesa e gente sfaccendata. Leo si diverte ad osservare, immagina cosa pensano, dove vanno, quale lavoro svolgono. La stessa cosa faceva da ragazzo, spesso andava in stazione ad osservare la gente. Curiosità innata la sua, gli è servita a facilitare gli studi e ad avere una mente creativa.

  L’altoparlante annuncia la partenza del suo treno, si avvia verso il binario, sta per superare una ragazzina che trasporta, con affanno, due enormi valige. 

  «Prendi il treno per Bologna?»
  «Lo spero, sempre se riuscirò a portarci queste due maledette.»

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